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CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE

Commissione di studio sulla bioetica

Istituto sulla Ricerca e Documentazione Scientifica

 

ROSALIA AZZARO PULVIRENTI

 

Indagine sull'informazione relativa alla Bioetica

A research on bioethics knowledge

 

 

Isrds, Roma - 1997

Indice

Commento per argomenti

Sommario

Lo sviluppo della ricerca e l'impegno delle risorse scientifiche, comportain ogni caso l'uso di mezzi e metodi rispettosi di ogni uomo e del benecomune? E gli obiettivi della ricerca scientifica, possono essere ridottiall'accrescimento del potenziale tecnico-economico e politico-sociale? Individuarenuove risorse in ambito biologico, ridurre l'improduttività in vastezone sottosviluppate, curare malattie rare o ancora endemiche: la qualificazionedi una ricerca scientifica deriva dalle ricadute economiche e in terminidi prestigio, o può dipendere da un tipo di impegno più etico?A questo tipo di riflessioni, oltre che a varie questioni di bioetica, èinteressato il Questionario, inviato dal Cnr a tutti i suoi ricercatori,per rispondere alla fine ad una sola domanda: la bioetica è in difesadalla scienza o anche della scienza?

Summary

The development of research and the commitment in scientific resources,do they use in every single case means and methods respectful of each personand of the common weal? And may the scientific research's purposes be reducedto increase the technical-economic and social-political potential? Findout new resources in biological context, or cut down unproductiveness indepressed areas, or even treat rare or endemic diseases: does the qualityof scientific research depend from economics issues and prestige, or froman ethic engagement? This Questionnaire is addressed from Cnr to its ownresearchers, and would like them to answer to these and many other bioethicquestions, to finally answer just to this one: is bioethics in defence fromscience or of science too?

 

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Premessa

 

"Per sviluppare un'adeguata riflessione etica sulla responsabilitàa livello degli operatori, si raccomanda che i coordinatori di queste ricerchein italia promuovano, come già avviene a livello internazionale,indagini parallele sul loro impatto etico e sociale nonché su quellogiuridico; un altro importante antidoto contro le distorsioni della realtàscientifica, le quali possono generare infondati timori,ma anche controi possibili usi impropri della conoscenza accumulata (...) è l'informazionee il dibattito pubblico": così auspicava il Comitato Nazionaleper la Bioetica italiano, già nel1994, in un documento riguardanteil genoma umano; anche la Convenzione di Bioetica europea, riconosce"l'importanza di stimolare un pubblico dibattito sulle questioni sollevatedall'applicazione della Biologia e della Medicina e sulle risposte da dare",ed anzi in un apposito capitolo dichiara: "I Firmatari della presenteConvenzione intervengono al fine che le problematiche fondamentali postedal progresso della Biologia e della Medicina siano oggetto di un appropriatopubblico dibattito, in particolare alla luce delle implicazioni pertinentidi ordine medico, sociale, economico, etico e giuridico e che le loro possibiliapplicazioni siano oggetto di appropriati confronti" (cap. 10, art.28).

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, per iniziativa della Commissionedi studi sulla bioetica, insieme all'Istituto di Studi sulla Ricerca e DocumentazioneScientifica, ha tra i primi aderito a queste sollecitazioni, inviando atutti i suoi ricercatori una Indagine sull'informazione relativa allabioetica, consistente in un Questionario articolato in una quarantinadi domande, attinenti in particolare i problemi di bioetica della ricercae sperimentazione scientifica.

Lo sviluppo della ricerca e l'impegno delle risorse scientifiche, comportain ogni caso l'uso di mezzi e metodi rispettosi di ogni uomo e del benecomune? E gli obiettivi della ricerca scientifica, possono essere ridottiall'accrescimento del potenziale tecnico-economico e politico-sociale odella "medicina dei desideri"? Individuare nuove risorse in ambitobiologico, ridurre l'improduttività in vaste zone sottosviluppate,curare malattie rare o ancora endemiche: la qualificazione di una ricercascientifica dipende dalle ricadute economiche e in termini di prestigio,o può dipendere da un tipo di impegno più "etico"?Su queste ed altre domande di carattere più specifico si snoda questaIndagine, i cui risultati vengono presentati "nudi e crudi" nellaprima parte della relazione. I ricercatori del Cnr intervistati, sembranoaver accolto con ponderato entusiasmo l'occasione di far sentire la lorovoce, su diverse questioni attinenti la bioetica e quindi sui profili chesi vanno delineando in un futuro ormai prossimo, dimostrando al contempoun notevole grado di informazione e di autonomia di giudizio.

Nella seconda parte della ricerca invece, il commento personale dell'autorefornisce ulteriori dati, illustra i diversi problemi di bioetica facendoriferimento ad alcuni documenti specifici e informa sul loro status quo,che lascia aperti non pochi interrogativi.

Scienza e tecnologia, in effetti, sono oggi riconosciute come uno deiprincipali motori del cambiamento, in quanto influenzano non solo gli aspettimateriali dell'esistenza umana, ma anche quelli sociali, economici e politici,attraverso il crescere delle aspettative e della capacità di comunicare,di spostarsi ecc. Ma, la funzione progettuale di scienziati e tecnologinon di rado viene distorta e guardata con sospetto, e la loro razionalitàtravolta da esigenze ideologiche che ad essi appaiono strumentali, accrescendocosì il loro senso di estraneità alla società che siattende da loro un contributo "tecnico", senza altro modo di esprimersiche quello di fornire informazioni, ma restando distanti dai luoghi qualificatie riconosciuti di rappresentanza. Il prezzo più alto di tale disfunzioneforse, viene pagato in termini di innovazione: in quanto manca un luogodove scienza e tecnologia entrino in contatto con quella realtà quotidianache non è solo il sistema industriale; cosicché un gruppoportatore di aspirazioni e necessità omogenee, possa essere presentenei luoghi dove si concertano i legittimi interessi del Paese e dell'Europa,attraverso la discussione su le nuove idee, i brevetti, le attivitàche richiedono per il loro sviluppo un metodo scientifico. Tutto ciònaturalmente non vuol dire far gravare sulla ricerca scientifica, il pesodelle "sorti magnifiche e progressive" dell'umanità; ilsogno che il trinomio scienza-economia-politica dovesse necessariamenteportare alla soluzione di tutti i problemi, sul piano del progresso civiledell'umanità, si rivela oggi come una vecchia "illusione derivantedai desideri umani, che si riavvicina quindi all'idea delirante secondoFreud". Ciò impone anche, alla scienza, un serio esame circala propria disponibilità alla "utilizzazione dei suoi risultatisul piano etico prima ancora che scientifico e tecnologico", come siè espresso Carlo Rubbia. Riproporre la centralità della comunitàscientifica come protagonista del dibattito sul futuro della ricerca, comunque,è stato proprio uno degli obiettivi che il Consiglio Nazionale delleRicerche si è posto dando vita nel 1990 ad una sua Commissionedi studio sulla bioetica. Se nella sua genesi storica la bioetica èsorta come esigenza di difesa dalla scienza, da una malpracticerispetto ai suoi metodi ed applicazioni, sempre più si fa
strada oggi una concezione dell'etica applicata alle scienze della vita,in difesa della scienza nel suo senso autentico: vale a dire, diricerca strategica avanzata al servizio del bene comune, rispettosa delbene individuale ma non ridotta alla funzione di vettore di applicazionidi immediata ricaduta economica. Imponendo un orizzonte limitato alla ricerca,infatti, si riduce a scientismo la scienza, come quando essa pretende diimporre alla ragione i suoi obiettivi e le sue finalità, o quandouna conclusione, per poter essere giudicata scientifica, deve inquadrarsiin una prospettiva materialistica.

Desidero ringraziare il Presidente e gli autorevoli Colleghi della Commissionedi studio sulla bioetica del Cnr, che con i loro suggerimenti, in particolaresulla terminologia scientifica, hanno contribuito alla stesura del Questionario.Un ringraziamento particolare va a Paolo Bisogno, Direttore dell'Istitutodi studi sulla Ricerca e Documentazione Scientifica, per il forte impulsoimpresso alle ricerche sulla bioetica, da lui intesa come il futuro dellascienza: non si tratta soltanto infatti di "controllare l'usodei ritrovati della scienza e di prevedere gli effetti collateralinegativi della tecnologia" ma di una "intensificazione degli sforzi"che "dovrà avvenire in funzione di nuove finalità, eprecisamente di quelle tese allo sviluppo ed al miglioramento della società,stabilendo tra esse un armonizzato ordine di priorità". Questosforzo, già una categoria morale, di proporre alla ricercaed alla politica scientifica un "ordine di priorità", consisteinnanzi tutto ci sembra nell'impegno dell'intelligenza, di riconoscere unordine dell'essere: un dare cuique suum come giustizia metafisicadi intelligere ogni essere, nel suo ordine e grado.

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Nota metodologica ed elaborazione dei risultati

 

Nota metodologica

I questionari spediti a tutti i ricercatori del Consiglio Nazionale delleRicerche, in base ad elenchi forniti dal Cnr stesso, sono stati 2430; sene sono ricevuti in risposta 380 (15,2%): percentuale significativa, tenutoconto del fatto che si tratta di un questionario di tipo cartaceo.

Tale campione dei ricercatori del Cnr risulta attendibile, anche a quelche risulta dal confronto, realizzato tra la percentuale dei dati relativia tutti i ricercatori del Cnr, e quelli relativi a quanti hanno rispostoal Questionario: dati che sostanzialmente si equivalgono (vedi figg. 1,2, 3, 4, 5).

I parametri scelti per dare maggiore significatività ai risultatiraccolti, sono i seguenti:

1) zona geografica (in cui ha sede l'organo di ricerca);

2) ambito di attività;

3) età;

4) sesso.

 

Grafici e figure dei risultati

 

Esiste una sostanziale corrispondenza, come si è detto, tra ilprofilo generale dei ricercatori del Cnr e quello di quanti hanno rispostoal questionario, indice di una sostanziale rappresentatività delcampione intervistato; la corrispondenza è notevole per quanto riguardal'area geografica di provenienza (fig. 1); lievi ma significativevariazioni riguardano l'ambito dell'attività di ricerca (fig. 2);molto corrispondenti anche i dati circa l'età (fig. 3) ed il sesso(fig. 4).

 

 

Fig. 1 - Zona geografica in cuiha sede l'organo di ricerca

 

 

Come si vede c'è una corrispondenza quasi perfetta, rispetto allazona geografica, tra i ricercatori tutti del Cnr e quelli che hanno rispostoal questionario, con una lieve percentuale in più di questi ultiminel Nord Italia.

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Anche se i "fisici" hanno risposto con più entusiasmo,esiste anche qui una notevole corrispondenza, in particolare nel campo dimedicina e biologia; mentre proprio nell'ambito delle biotecnologie, sinota una certa flessione d'interesse nel rispondere, che potrebbe essereindizio, in alcuni, di una autosufficienza convinta di poter evitare ilconfronto con domande di tipo etico.

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Anche qui, in proporzione, il dato sull'età dei ricercatori corrispondeperfettamente, i giovani anzi hanno risposto più numerosi.

 

In base ai risultati dei parametri relativi all'Indagine sull'informazionerelativa alla bioetica,, si può estrapolare un profilo del ricercatoreche ha risposto: il 70% è di sesso maschile; il 55% degli uominied il 52% delle donne è di età compresa tra i 36 ed i 50 anni,più anziani il 38% degli uomini ed il 34% delle donne.

Il 40% circa proviene dal Centro, il 19% da ognuna delle altre zone.

Il 15% è figlio di imprenditore o libero professionista, il 24%di impiegato di grado intermedio; tra le donne il 35% è figlio didirigente, contro il 17% degli uomini.

Il 40% ha frequentato Università del Centro, contro il 20% delNord ed il 18% del Sud.

Il 45% degli intervistati ha riportato 110 e lode come votazione di laurea(55% delle donne, 41% degli uomini), ma solo il 6% ha un titolo di studioconseguito all'estero.

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La corrispondenza tra ricercatori Cnr ed intervistati viene confermataanche riguardo al genere, maschile e femminile: gli uomini infatti risultanopoco più del doppio rispetto alle donne.

Riguardo allo stato civile, non è stato possibile fare una comparazionein quanto relativamente ai ricercatori Cnr in toto non esiste ildato corrispondente. Dei ricercatori intervistati é coniugato l'82%degli uomini contro il 60% delle donne; il 70% ha prole (un solo figlioil 22%, ne ha due il 36%, il 10% ne ha tre).

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 ELABORAZIONE DEI RISULTATI

Le risposte e i grafici che seguono costituiscono l'elaborazione deirisultati della "Indagine sullinformazione relativa alla Bioetica ",svolta attraverso un questionario che sitrova in appendice.

 

 

8. Nella sua esperienza professionale si è mai posta la questione se dover andare avanti o meno in una procedura, per motivi etici?

Spesso 9.2 Mai 61.1

Qualche volta 28.7 MR 1.1

 

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9. Ha mai avuto la necessità, nell'ambito del suo lavoro, di un Organismo (Comitato Etico) di consultazione o approvazione, su questioni di bioetica?

Spesso 4.1 Mai 83.8

Qualche volta 11.9 MR 0.3

 

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10. Da quali canali ha attinto le sue attuali informazioni circa la bioetica?

Corsi di bioetica 2.2 Basi di dati specializzate 2.4

Riviste scientifiche 42.2 Stampa 71.4

Convegni, Seminari 10.3 Radio, TV 49.7

Ambiente di lavoro 23.8 Altro 7.03

MR 1.62

 

 

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11. Lei si rifiuterebbe - per motivi strettamente etici - di seguire una prassi scientifica o un comportamento professionale pur adottati da altri?

 

Si 83.2 ; No 4.6; Non so 10.5 MR 1.6

 

 

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12.La presenza attiva di Comitati Etici - locali o istituzionali - può costituire un sistema di regolamentazione efficace, riguardo l'applicazione di principi morali alla ricerca scientifica ed alla sperimentazione clinica?

 

Si 56.0; No 14.6; Non so 26.8; MR 2.7

 

 

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13. Ritiene utili i Comitati Etici anche per garantire la tutela dell'animale su cui avviene la sperimentazione e la validità scientifica della ricerca in atto?

 

Si 61.9; No 13.8

Non so 18.9; MR 5.4

 

 

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14. "La bioetica è lo studio sistematico delle dimensioni morali - comprendenti la visione morale, le decisioni, la condotta, le politiche - delle scienze della vita e della cura della salute, attraverso una varietà di metodologie etiche in un contesto interdisciplinare" Encyclopedia of Bioethics, 1995.

Ritiene adeguata questa definizione?

Si 74.1; No 18.4; MR 7.6

 

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15. A suo avviso, c'è una sostanziale differenza tra bioetica, deontologia ed etica scientifica?

 

Si 49.7; No 43,0; MR 7.3

 

 

 

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16. Appartiene ai compiti della bioetica indicare dei fini (es.: soluzione del problema della fame nel mondo, guarigione di malattie rare) alla ricerca scientifica?

 

Si 32.4 Non so 11.9

No 54.3 MR 1.4

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17.La distribuzione delle risorse scientifiche tra i Paesi più sviluppati e quelli in via di sviluppo, è un problema che riguarda la bioetica?

Si 34.1 No 62.7 MR 3.2

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18. Il dibattito bioetico deve confluire in un ambito normativo (regulatory) o dare soltanto luogo a confronto (advisal) e scambio tra prospettive differenti?

contributo normativo 24.6 confronto e scambio 26.2

ambedue 46.2 altro 1.6 MR 1.4

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19. È accettabile che l'influenza del fattore economico (esempio: committente che finanzia la ricerca; ricaduta in termini di guadagno) determini di fatto le scelte del ricercatore, anche in ambiti che coinvolgono problemi etici?

Si 10.5 No 86.2 MR 3.2

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20. Ritiene che sia un problema anche etico, quello dell'allocazione delle risorse fra vari settori scientifici?

Si 53.5 No 36.8 Non so 8.4 MR 1.4

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21.Le diverse ideologie hanno un'influenza sull'elaborazione di teorie etiche e sui relativi orientamenti giuridici?

notevole 76.2 relativa 20.5 nulla 1.4 MR 1.9

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22. È a conoscenza del fatto che in data 28/6/1995 era stata istituita una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla bioetica, composta da parlamentari e senatori?

Si 53.8 No 45.1 MR 1.1

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23. Ritiene chel'i ndagine sulle "prospettive concrete aperte dalle scienze della vita" (decreto d'istituzione della Commissione parlamentare sulla bioetica) nonchè l'elaborazione di proposte normative a riguardo, siano di competenza di:

Politici e legislatori 20.3 Professionisti scientifici 28.7

Giuristi, Specialisti bioetica 21.1 Filosofi 6.0

Teologi 6.0. In collaborazione 72.4 MR 1.4

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24. Ritiene che una situazione di deregulation, in materia di bioetica, favorisca la ricerca scientifica e la prassi medica?

Si 14.1 Non so 19.2 No 62.7 MR 4.1

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25. Una pratica ritenuta eticamente riprovevole, può essere accettata come lecita dall'ordinamento giuridico ai fini dell'utilita' generale e del progresso scientifico?

Si 10.5 No 51.1 Non so 3.5 Altro 7.0 Forse 24.9 MR 3.0

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Indagine sull'informazione relativaalla bioetica

Commento per argomenti

 

Sensibilità etica e necessità di un counseling

La necessità di promuovere lo studio e l'osservanza di valorie principi etici nell'ambito della ricerca scientifica e delle sue applicazioni,in particolare nei rami della biologia e della medicina, ha dato vita inmolti Paesi sia alla bioetica come scienza che a Comitati Etici di variotipo e natura. Abbiamo quindi svolto tra i ricercatori del Cnr una primaindagine su questi temi. In effetti, alla domanda se "nella suaesperienza professionale, si è mai posta la questione se dover andareavanti o meno in una procedura, per motivi etici", la maggioranza(61%) di tutti gli intervistati ha risposto "mai".

Ma, sommando le affermazioni positive "spesso" (9,19%)e "qualche volta" (28,65%), si ottiene che circa il 40%(37,84) dei ricercatori del Cnr, si è posto un problema in terminietici nel corso del proprio lavoro.

Se poi si confrontano questi dati (il 28,6 dei "qualche volta",sommato al 9,2 di "spesso", cioè il 37,8%), con la percentualedei ricercatori che svolgono le loro ricerche in aree attinenti alla bioetica(biologiche e mediche, agrarie, filosofiche, giuridiche, ambiente, biotecnologie:vedi tabella 2), percentuale che corrisponde ad un totale del 31,2 di tuttiricercatori, emerge un risultato molto significativo: vale a dire, che pressochétutti i ricercatori del Cnr che svolgono attività attinenti all'ambitobioetico, si sono imbattuti in problemi di natura etica nel corso del lorolavoro, almeno qualche volta.

Questi dati sembrano accertare una sensibilità etica tra gli operatori,nel campo della ricerca scientifica direttamente interessata alla bioetica,ma anche la sentita necessità di counseling o di una regolamentazioneper agevolarne lo svolgimento. A questo dato non sembra corrispondere, tuttavia,il desiderio di deferire la responsabilità della decisione ad unasoluzione etica fornita da "esperti"; infatti, ad una domandadi tipo personale (si rifiuterebbe - per motivi strettamente etici -di seguire una prassi scientifica o un comportamento professionale pur adottatida altri?), c'è una stragrande maggioranza (83,24) che rispondein modo positivo, i "no" sono pochissimi (4,59) mentre un 10%risponde "non so".

In molti casi, lungi dall'essere visti come un'imposizione dall'esterno,i Comitati Etici sono sorti da esigenze di tutela dei diritti del malatoo dal bisogno di counseling sulle questioni più varie, a cominciaredai protocolli di sperimentazione clinica; oggi, le più qualificateriviste scientifiche non accettano la pubblicazione di una ricerca che nonsia passata ufficialmente al vaglio del parere di un Comitato Etico; fattoche implicitamente riconosce la speciale prerogativa e priorità dellaconoscenza etica rispetto a tutti gli altri tipi di conoscenze.

In Italia, fatte salve alcune iniziative di carattere locale o privato,le categorie interessate sembravano finora mostrare scarso interesse, circala diffusione di Comitati Etici e la loro istituzione in ambito pubblico;pur facendosi sentire da più parti la difficoltà ad affrontare,senza una formazione professionale adeguata in ambito filosofico-giuridicoed in una società così variegata e complessa, i problemi eticiemergenti dall'esercizio delle tecnologie scientifiche, sia nel campo dellamedicina che della ricerca.

Infine, è da ricordare che nella "Convenzione di bioetica",si statuisce un principio fondamentale: che l'esercizio della ricerca scientificabiologica e medica non è arbitrario, ma deve svolgersi secondo ledisposizioni della Convenzione e le altre norme giuridiche che proteggonol'essere umano.

In sostanza la Convenzione sancisce l'obbligo dell'approvazione del progettodi ricerca, che deve essere oggetto di valutazione anche sotto il profiloetico, da parte di un organo competente, indipendente e pluridisciplinare;nel Rapport Explicatif si fa l'esempio della sottoposizione al ComitatoEtico.

Alla domanda: "ha mai avuto la necessità, nell'ambitodel suo lavoro, di un Organismo (Comitato Etico) di consultazione o approvazione,su questioni di bioetica", la maggioranza risponde "mai":il che parrebbe indicare o la mancanza di una gravità morale riguardole decisioni da prendere, oppure un desiderio di indipendenza di giudizioin ambito morale, per quel che concerne il proprio lavoro. C'è ancheperò chi risponde: "sì, ma ho rinunciato per la macchinositàdella richiesta". Se però si confronta quel 16% (15,94) di ricercatoriche "spesso" (4,05) o qualche volta" (11,89)hanno avuto la necessità di ricorrere ad un organismo specifico diconsultazione o approvazione in ambito bioetico, con la percentuale di coloroche effettivamente svolgono ricerca del genere concernente la bioetica (37,84),risulta che almeno la metà degli studiosi direttamente interessati(44,86) sente effettivamente il bisogno di un apposito Organismo di bioetica.

 

Un dato che viene confermato dalle opinioni circa l'effettiva utilitàdei Comitati Etici: la presenza attiva di Comitati Etici - locali o istituzionali- può costituire un sistema di regolamentazione efficace, riguardol'applicazione di principi morali alla ricerca scientifica ed alla sperimentazioneclinica? Essi sono ritenuti efficaci da un 56%; un 27% non sa esprimersiin proposito, mentre meno del 15% non li ritiene un sistema di regolamentazionevalido.

Tali percentuali delineano, in qualche modo, la reale fisionomia deiComitati Etici, che certamente possono costituire un sistema di auto-regolamentazioneefficace in ambito medico e della ricerca; ma la cui "logica di funzionamentonon dovrebbe essere tanto rivolta a stabilire ciò che è lecitoo illecito quanto ad assicurare che la decisione di colui che è effettivamentecoinvolto dal problema (medico paziente o altro) possa avvenire dopo un'adeguatariflessione...".

La questione della effettiva validità dei Comitati Etici puòpresentare come è noto difficoltà non irrilevanti, dovendosiconfrontare con rischi di degenerazione burocratica (puro consulto giuridico-legale),di de-responsabilizzazione morale, di rigidità di schieramento odi sostegno a un interesse di parte, o viceversa di un ruolo "debole",quasi irrilevante, dei Comitati stessi. Ad essi spetta il compito di ripresentareil valore un po' obsoleto della sanzione: nel dare, ad esempio, pubblicitàal parere fornito, nel caso esso non sia vincolante; nel suggerire la sospensionedi finanziamenti (recentemente negli usa sono stati sospesi quelli pubblici,per le ricerche sulla clonazione); nel non dare spazio, nelle pubblicazioniscientifiche, a lavori che non rispettino in itinere un determinatocodice di comportamento etico.

In ogni caso, l'appellarsi ad un Comitato Etico attesta una precisa volontàdi attenersi a comportamenti elaborati razionalmente, nell'ambito di unconfronto oggettivo ed interdisciplinare.

Bisogna infine valutare l'analisi dei Comitati Etici sotto il profilogiuridico, anche per evitare disparità di trattamento in aree diverse,a livello sia locale che istituzionale.

Di una considerazione anche maggiore godono i Comitati Etici a tuteladell'animale, anche perché naturalmente comportano minori problemi;alla domanda: Ritiene utili i Comitati Etici, anche per garantire latutela dell'animale su cui avviene la sperimentazione e la validitàscientifica della ricerca in atto?; risponde affermativamente il 62%e scende la percentuale di chi non sa pronunciarsi (19%); un 14% tuttaviarimane scettico circa la loro utilità effettiva.

 

Ad una tale sensibilità per una completa tutela dell'animale,corrisponde ovviamente un certo realismo, tra i ricercatori, circa la suautilizzazione nell'ambito della ricerca scientifica; infatti, alla domandase si possa ritenere eticamente accettabile immettere in commercio farmacie composti chimici, non studiati preventivamente su animali da laboratorio,risponde di "no" il 65,41%; per il "sì" - decisamente"animalista", quindi - è invece un 12% (11,62), mentreun 20% (19,46) afferma di non saperlo. La sperimentazione animale in campobiomedico costituisce tuttora, come è ampiamente documentato, "unsupporto fondamentale per il progresso delle conoscenze, contribuisce atrovare rimedi per patologie ancora incurabili che affliggono il genereumano e gli animali (...) e, in questo senso, sarebbe anti etico aboliretale sperimentazione". Quel 20% di ricercatori che afferma di non sapere,si riferisce probabilmente al più recente emergere di modelli alternativivalidi, qualepotrebbe essere la ricerca genetica, al fine di trovare rimediper patologie ancora incurabili; un maggiore impulso in questa direzioneè stato raccomandato anche dalla Commissione di studi sulla bioeticadel Consiglio Nazionale delle Ricerche già nel 1992, quando ha redattoanche in versioni successive un'apposita scheda (da compilarsi dai richiedentidi progetti inoltrati al Cnr), proprio a implementazione in Italia delladirettiva 86/609/CEE tramite il D.L.vo 116/1992, del 27 gennaio 1992. Daparte della Commissione di bioetica del Cnr é stata dedicata un'attivitàpluriennale di un apposito gruppo di studio su qusto tema, in particolareriguardo l'utilizzo dei primati, lo stile di mantenimento delle specie vertebrate,la formazion del personale per l'animal care, la riduzione del numerodi soggetti sperimentali e la minimizzazione delle sofferenze nel caso sianecessaria la sperimentazione.

 

Di fatto, più del 70% (70,54) dei ricercatori del Cnr (anche aloro dal 1993 viene inviata la scheda sulla sperimentazione animale, acclusaalla richiesta di finanziamento dei progetti di ricerca), è aconoscenza del fatto che è in vigore una legislazione (DL.116, 27/1/1992)concernente la sperimentazione animale, che provvede a regolamentare lamateria e tutelare gli animali usati per scopi scientifici; il 30% (27,84)invece lo ignorava (trattandosi probabilmente di ricercatori di tutt'altraarea di ricerca).

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Il tipo di informazione sulla bioetica

Una trattazione a parte merita l'indagine sul tipo di informazione cheriguarda la bioetica. Se non si assiste, nel nostro Paese, a fenomeni distrumentalizzazione della stampa ai fini della ricerca (come per esempio,dare un risalto spropositato a determinati risultati scientifici, per otteneremaggiori finanziamenti), per altro verso i problemi tra informazione scientificae mass media sono lungi dall'essere risolti. Al di là delletentazioni più comuni, come rincorrere l'effetto sensazionalisticoe piegare anche la notizia scientifica alla pressione ideologica, anchele maggiori testate in Italia non dispongono, come accade all'estero, diuno specialista in grado di valutare e porgere con chiarezza pari alla precisione,una notizia di carattere scientifico. Si stanno ponendo in atto peròdei tentativi - incontri tra ordine dei giornalisti e ordine dei medici- di valutazione e chiarimento, in vista di soluzioni che potrebbero appariremigliori: affidare solo ad un canale ufficiale, per esempio, la comunicazionee la formulazione di notizie scientifiche attendibili. Ma in questo caso,non si rischia di burocratizzare ulteriormente la ricerca, vietando l'emergeredi "geni isolati" e favorendo l'affermazione di entitàdi ricerca potenti ed organizzate, pubbliche o private? D'altronde al "dirittoall'informazione" dovrebbe corrispondere, naturalmente, un "dovereall'informazione esatta": altrimenti che informazione è? Ilproblema resterà aperto ancora a lungo ed è, anche questo,uno dei fattori che pongono in evidenza la necessità di una formazioneculturale sistemica in ambito bioetico, per la comprensione dei problemirelativi alla ricerca ed alle applicazioni biomediche: non solo nell'ambitodi un sistema specifico, alla presenza di variabili e di interazioni traesse note e prevedibili; ma all'interno del contesto etico-sociale, in unsottosistema formale quindi, e nell'interfaccia tra questo ed il sottosistemainformale, vale a dire il complesso dei fenomeni che si manifestano, i moltifattori che li determinano, le molte dimensioni dei problemi posti.

Ma vediamo a quali canali, il ricercatore Cnr generalmente attinge lesue informazioni di carattere bioetico (Da quali canali ha attinto lesue attuali informazioni circa la bioetica?). A maggioranza ciòavviene attraverso la stampa (71%), per una buona metà (49,73%) attraversoradio e TV. Ciò costituisce una conferma della diffusione del tema,favorita dai comuni mezzi di comunicazione a riguardo; ma fa rimpiangereil fatto che personale specializzato, come i ricercatori Cnr, non abbianoaltrettanto facilmente accesso a fonti scientificamente più attendibilie circostanziate. Quasi la metà però degli intervistati (42%),afferma di essersi informato tramite la consultazione di riviste scientifiche;ma, essendo in Italia molto limitato il numero di riviste scientifiche ches'interessano direttamente di bioetica, bisogna presumere che essi si sianoinformati per proprio conto sull'argomento.

Un quarto circa dei ricercatori (24%) assume le sue informazioni "sulcampo", direttamente cioè dall'ambiente di lavoro; il che staad indicare un interesse specifico dato dall'attività di ricerca,ma anche una capacità di elaborazione propria dei temi di bioetica.

Significativo anche quel 10% che segue convegni o seminari di Bioetica,mentre è solo il 2% che attinge le sue informazioni in modo specialistico,da basi di dati specializzate (2,43) o corsi di bioetica (2,16). Un 7% infineassume informazioni in modo del tutto autonomo.

 

Più delicata la questione su "cosa" si intende per bioetica,a partire da una sua possibile definizione. La definizione data nel 1995dall'Encyclopedia of Bioethics: "La bioetica è lostudio sistematico delle dimensioni morali - comprendenti la visione morale,le decisioni, la condotta, le politiche - delle scienze della vita e dellacura della salute, attraverso una varietà di metodologie etiche inun contesto interdisciplinare", viene ritenuta adeguata dai trequarti dei ricercatori (74,%), mentre meno del 20% (18%) la ritiene insufficienteLe varie motivazioni e specifiche che vengono fornite al riguardo, denotanoun interesse alla massima precisione, che non viene però ritenutauna meta facile da raggiungere.

Esistono due tipi di approccio alla bioetica, in quanto la si puòconsiderare come scienza pura o applicata. Ovviamente, se non si fosse contemplatasin dall'inizio l'ipotesi di un possibile raggiungimento di soluzioni ainuovi problemi di ordine morale, emersi nel corso accelerato dello svilupposcientifico, la bioetica non sarebbe neanche nata, né avrebbe motivodi sussistere, al di fuori delle tendenze morali antiche o nuove e dellerispettive tradizioni in campo filosofico, storico e giuridico. Ma effettivamente,oltre alle ricadute in campo operativo per quel che riguarda le scelte individualicome le politiche sociali e sanitarie, la bioetica si è andata strutturandoin modo autonomo, non tanto come una nuova scienza, quanto come una disciplinache appartiene di fatto e di diritto al futuro della scienza, all'utilizzodelle risorse disponibili. Non si tratta semplicemente della distinzionetra una "bioetica di frontiera" e "di trincea", cioèdi questioni di principio connesse a casi limite oppure a realtàquotidiane, ma dei presupposti concettuali, dei paradigmi antropologiciglobali, che sottintendono ad ambedue. Solo studiando e approfondendo sistematicamentequesti secondi, infatti, sarà possibile per qualsiasi scienza maturareda una "epistemologia del controllo" ad una "epistemologiadell'autonomia", nell'ambito della bioetica.

In questo senso, si può anche definire sbrigativamente la bioeticacome "studio sistematico interdisciplinare delle dimensioni morali",espressione che sommariamente indica lo sforzo del "saper conoscere"e prevedere, che sempre più verrà richiesto - dall'evoluzionedella scienza, della tecnica e della coscienza sociale - allo scienziato,al medico o al ricercatore, al di là della specifica preparazionetecnica, del "saper fare".

Per Van Rensslaer Potter, cui si deve l'accezione originaria di "bioetica",tale "nuova scienza" si dovrebbe occupare dei "nuovi valori":la sopravvivenza dell'uomo nella biosfera e la qualità della vita.

Ma la bioetica non può essere solo questo, non è vera scienzase non ha un carattere universale, che non solo vuol dire solo "cosmico"e "pluralista", nel suo fondamento e nelle sue strutture: talecarattere centrale, che consente alla bioetica di poter essere normativaed universale, essa lo attinge, come si è detto, dalla stessa unicitàed universalità della natura umana.

Ciò non vuol dire che la fonte di valore ultima sia l'individuo,sganciato da qualsiasi realtà che non sia soggettiva o relativa asé medesimo ("ognuno è valore per sé, ha la suamorale individuale", etc.); lo è invece l'uomo, ogni essereparticolare che ha in comune con tutti gli altri la sua natura, la sua specifica"umanità".

La bioetica, come ogni altra scienza, parte dall'osservazione di un fattoper accertare un dato; per scoprire cioè la lex (norma) comemanifestazione di un ordo (ordine) naturale, preesistente al momentodell'osservazione e della ricerca (conoscenza euristica), momento che noncostituisce tutta la conoscenza, se non dal punto di vista del soggetto.

Quando si parla di natura, bisogna precisare che la si può intenderein senso univoco (la concezione di realtà di tipo positivistico,la natura biologica, comune a tutta la biosfera) o anche in senso assoluto,come "espressione dell'ordine divino e assoluto della realtà",come diceva F. Schelling (1775-1854). Ma col termine "natura"si può anche intendere il complesso ordinato (cosmos) di realtàdiverse, nel quale ognuna ha il suo essere, ordinato o "proporzionato"agli altri, ha la propria natura ovvero la sua specifica "verità",che rende la realtà intellegibile, cioè conoscibile e comprensibileall'uomo. Il primum etico ha sempre un fondamento nella realtà,si fonda sull'esperienza della "verità delle cose".

Tale impostazione, non individualistica ma per così dire umanistica,tipica della tradizione culturale europea, è fondamentale per duemotivi: il primo, perché consente di ritrovare un minimumcomune nel pluralismo etico in cui siamo immersi, che spesso viene intesonon come proveniente da una ricchezza di pensiero e di dialogo, ma da un'anarchicaesaltazione della coscienza individuale, al di fuori di qualsiasi ordinedi concetti: come se, per il fatto che ognuno ha il diritto di professarele idee che ritiene giuste, ne conseguisse che una cosa è giustasolo per il fatto che viene difesa, sostenuta o professata da qualcuno,dalla maggioranza o da molti. Il secondo motivo, perché vi si puòfondare l'assenso all'auto-regolazione individuale: nel momento stesso incui si valorizza l'umano, si sottolinea la capacità della naturaumana (differente dalle specie animali) di autodirigersi, a prescinderedai semplici istinti o "dettami genetici" della propria naturae dalle influenze ambientali, storiche o culturali.

Alla base di un'autentica bioetica, sta infatti il riconoscimento diuna natura umana con una capacità morale singola e collettiva, capacitàcioè di:

a) riconoscere, "percepire intellettualmente" il bene e i varibeni nel loro ordine proporzionato;

b) attribuire una causa non solo adeguata ma "degna" alle proprieazioni;

c) formarsi una finalità;

d) avere un comportamento progettuale;

e) interpretare la realtà;

f) impegnarsi personalmente al raggiungimento del progetto.

Nessuno può misconoscere all'uomo tale capacità intrinsecao vietarne l'esercizio: è questo appunto, come si è detto,che fa della libertà il carattere costitutivo e imprescindibile dell'essereumano, e fa della responsabilità la imprescindibile fatica (etimologicamente,il "peso") relativa all'uso della libertà stessa. GiàAristotele definiva l'etica come "il mestiere di uomo".

Per inciso, si può notare come il suddetto schema di comportamentoetico (che fa di un qualsiasi atto dell'uomo un atto responsabile, pienamentelibero, quindi etico, perfettamente umano), sia applicabile anche al procedereintellettuale e scientifico, in quanto tale: basta sostituire "dati"a "beni", "fatti" ad "azioni", per rilevarnele corrispondenze.

Ed è per questo carattere costitutivo della libertà, chequalsiasi dottrina dell'obbligazione morale o della legge risulta astrattae retorica, se non è accompagnata da un corretto esame della naturadell'essere umano. Il quale fornisce, inoltre, la reale conoscenza dei mezziper raggiungere il fine dell'uomo: che è il progressivo potenziamentodel valore che l'uomo stesso è, il che corrisponde alla sua felicità.Alla norma, infatti, non è sufficiente essere conosciuta per esseretradotta in pratica; sembra di una evidenza lapalissiana,ma dal punto divista della storia del pensiero, l'asserzione che la conoscenza sia condizionenecessaria e sufficiente all'azione, ha una precisa denominazione - gnosi,da cui gnosticismo - ed un lungo decorso, che va da Platone (428-354 a.C.)fino a Kant (1724-1804) al quale, come è noto, si deve la "rivoluzionecopernicana" della filosofia morale, lo spostamento cioè delbaricentro dell'azione morale: da un punto di riferimento oggettivo, alsoggetto stesso. Nell'ambito specifico del morale, d'altronde, la tentazionedi credere che basti la conoscenza della norma o della sua giustezza perdeterminare l'assenso della volontà, è sempre ricorrente.

Di fronte all'evidenza del fatto che la conoscenza del bene, spesso,non è sufficiente a sceglierlo e attuarlo fa da contrappeso, la convinzionealtrettanto superficiale che di fatto non sia possibile conoscerecos'è bene ed attuare delle scelte veramente buone, oggettivamenteed universalmente morali. Un'annotazione linguistica, evidente nella linguainglese, distingue per esempio ethic (etica come morale) ed ethics(etica come filosofia morale), suggerendo così la differenza,tra una morale reale o pratica suggerita dal common sense ed unariflessione morale astratta o di tipo razionale, la quale però nonpuò che dar luogo a varie "filosofie" ed etiche, tutterelative: in quanto la verità o non esiste o è impossibileconoscerla. In campo morale, da questa impostazione deriva la cosiddetta"etica senza verità".

Si tratta di una derivazione naturale della teoria empiristica dellaconoscenza, nata e cresciuta, com'è noto, in terre anglosassoni:secondo la quale non è possibile conoscere nessuna veritàoggettiva se non di tipo sperimentale e perciò a fine utilitaristico.Da qui il positivismo logico abbinato al pragmatismo, che hanno avuto nonpoca influenza sulla bioetica di lingua inglese, i cui "filosofi moralisono prevalentemente al seguito della filosofia analitica anglo-americana,attualmente riferita dalla comunità bioetica, con qualche ambivalenza,come "principalismo".

L'impostazione empirica, che nega la possibilità di passare daun fondamento reale ad una norma oggettiva dell'agire, finirebbe per negare,per così dire, la stessa bio-etica, togliendole sia il fondamentoche lo scopo.

Anche di questo non è difficile trovare una conferma pratica ditipo semantico: recentemente si è cominciato a prediligere, al suoposto, il termine bio-medica. La competenza tornerebbe insomma agliesperti del settore delle scienze sperimentali (biologi, medici, etc.),mentre al vecchio paternalismo medico verrebbe a sostituirsi un nuovo paternalismopolitico-scientifico, in cui la scienza in un primo momento di nuovo "diventauna sorgente ed un arbitro di sistemi, di valori e di convinzioni al piùalto livello"; in seconda battuta viene assunta come "sistemasociale dinamico" tra i più potenti. In conseguenza di ciò,a scienziati e medici opportunamente supportati da "eticisti"spetterebbero, sotto forma anzi di "dovere", alcune competenzefondamentali (come quella di far nascere solo "bambini perfetti").

Tali posizioni derivano al loro fondo, proprio dalla non adeguata conoscenzadella natura del soggetto della scelta morale, cioè della naturadell'uomo. Lo studio di essa deve logicamente precedere, in ambito eticoe bioetico, quello sull'oggetto sempre vario delle scelte morali.

Quel che si deve prendere in esame cioè, non è certo "l'uomodella filosofia" ma l'uomo concreto e reale, il soggetto individualevivente, soggetto "animale" ma intellettivo (dotato di intellettoper sua natura), quel tutt'uno che è la persona: che è ancheil soggetto della medicina, la quale nel prendere in cura un uomo va semprepiù preoccupandosi non soltanto dei singoli organi malati, ma delmalato.

Non si tratta di individuare "la parte più nobile" o"la sede della personalità individuale" nella mente, anchese come tutti sanno è il cervello che, biologicamente, presiede atutte le funzioni e le coordina; ma piuttosto, di riconoscere che senzail libero e responsabile esercizio dell'intelligenza personale, attuatoattraverso i sensi ("l'animalità" chiamata da Rosmini "attodi sapienza divina"), è pressoché impossibile all'uomoquel reale "potenziamento di sé" (espressione rosminiana),che gli permette di adempiere al suo dovere: di essere veramente "umano"- non solo "giusto" ma "buono" - e di conseguire quel"totale appagamento", altrimenti detto "felicità",di cui ogni uomo sperimenta la "suprema necessità". Èun'attenta osservazione e valutazione della natura umana, quindi, che permettedi accertare che l'essere umano non consiste unicamente o principalmentenel conformarsi alla ragione; e che la felicità dell'uomo non necessariamentecontrappone piacere e virtù, impegno scientifico ed impegno morale.

Non si è forse ancora raggiunta un'adeguata maturità divisione di "che cos'è la bioetica"; infatti, alla richiestase vedano "una sostanziale differenza tra bioetica, deontologiaed etica scientifica", i pareri dei ricercatori si oppongono equamente:la metà (49,73) riconosce una netta distinzione, mentre per il 43%si tratta di codici di comportamento che sostanzialmente si equivalgono.

A proposito della relazione tra bioetica e deontologia medico-legale,bisogna riconoscere che la questione è ancora aperta, in quanto l'atteggiamentodella medicina nei confronti della bioetica sembra caratterizzato da unacerta ambivalenza. Da una parte c'è chi riconosce che, sulla lineadella tradizione ippocratica, deontologia professionale, morale e bioeticasono termini strettamente affini, e possono essere ugualmente utilizzatidall'etica medica, termine - sempre più frequente in letteraturaal posto di deontologia- con il quale si intende "il complesso degliobblighi morali che regolano la prassi medica". Restando quindi fermala distinzione tra etica e deontologia (il cui pregio ed il cui limite consistenell'essere fissata in precisi Codici professionali), quest'ottica inducead auspicare, nelle facoltà e scuole mediche e di ricerca, l'insegnamentopiù sistematico dell'etica e dei suoi riflessi in campo medico-scientifico;nonché un'attività di formazione, ovvero di "addestramento"pratico alla valutazione o analisi metodologica dal punto di vista eticodi un problema, un caso clinico o un protocollo di sperimentazione. Secondoquesta impostazione "clinica", il ragionamento morale dovrebbeperò evitare di mettere in campo i princìpi generali, purconcentrandosi invece sui casi particolari.

Altri invece oppongono una sorda o aperta resistenza all'ingresso dell'eticapresumendo che allo scienziato basti la "sua" etica, l'etica scientifica,ed al medico la sua deontologia e la sua coscienza; e sospettando ancheche una teoria etica applicata tenda in definitiva ad introdurre una qualchevisione "ideologica", da cui l'operatore sanitario o scientificodovrebbe tenersi lontano, in quanto il suo compito sarebbe di attenersi"ai fatti"; non solo, ma un'etica prefissata, per quanto "lamigliore possibile", sarebbe sempre inadeguata - tanto quanto potrebbeesserlo su un campo di battaglia - alle condizioni specifiche in cui lopongono le travolgenti novità tecnologiche in ambito biomedico, edi problemi etici sempre nuovi legati alle situazioni particolari piùdisparate. Per cui il medico o il ricercatore si troverebbe a volte a "fareciò che non vorrebbe", ma contemporaneamente a non poterlo non-fare,sotto la pressione della necessità di agire: per venire incontroalle richieste legittime (giustificate) di uno o più pazienti e perottemperare alle esigenze della prosecuzione di una ricerca.

La polemica tra etica o filosofia morale e scienza "pura",non può certo riaprirsi in termini ormai passati, in quanto dagliesiti storici (l'uso bellico dell'energia nucleare o gli esperimenti medicinei lager) è apparso evidente che un'impresa scientifica del tuttoavulsa dal rimando a valori etici, non solo può risultare inumana,ma si espone all'utilizzo incontrollato da parte di qualsiasi potere edideologia. La medicina si è sempre distinta come facente riferimentoper sua natura a principi etici originari, non solo quello negativo dell'alterumnon laedere ma quello positivo dell'alios iuvare. Anche nell'ambitodella medicina quindi, come nel dibattito bioetico ed in quello giuridicoattinente a questioni di bioetica, la questione fondamentale è: chiè l'altro?

Nella prassi medica, scientifica e clinica delle società contemporanee,la maggior parte delle scelte di tipo etico si possono distinguere in baseal riferimento di fondo ad un modello etico particolare, che si rifàad una propria concezione del "chi è" il soggetto dell'eticae delle sue applicazioni. Alcuni poi, pur riconoscendo le profonde differenzetra etica e deontologia, ritengono che quest'ultima sia sufficiente allaformazione del medico, e vedono l'affermazione della bioetica come un tentativodi sganciarla come dottrina dalla sua naturale sede, quel pensiero medico-legaleche da secoli la governa. In questo senso, è senz'altro apprezzabileche di fronte ad un vuoto legislativo come quello sulla fecondazione artificiale,la federazione dei medici abbia ritenuto di dover intervenire inserendo,nel nuovo Codice di Deontologia Medica, alcune norme in merito.

Ma c'è anche chi sostiene che "mettere a confronto il purofilosofo con il puro ricercatore-biologo, significa aumentare la confusionee l'incomprensione, favorire la conflittualità: cioè, faredella "bio-etica", aggrava i problemi senza contribuire in qualchemodo a risolverli. Occorre invece costruire una "deontologia"aggiornata all'attuale progresso della scienza (...) sulla base della formulazionedi regole di condotta o di norme, che siano espressione non tanto dellevarie correnti di filosofia morale, ma esprimano invece (in quanto normenon solo legali, ma anche sociali e consuetudinarie) i valori e i principiche hanno ispirato la costituzione della struttura culturale, sociale ecomunitaria in cui viviamo e siamo inseriti".

Di una posizione di questo genere, vanno rilevate alcune giuste istanze:come quella di una bioetica che pervenga a dare un vero contributo operativoe giuridico, non si riduca ad una "storia infinita" di questionimorali e non dipenda dal mutare storico-concettuale delle varie etiche.

D'altra parte ne vanno rilevate le incongruenze: la stessa deontologianon può dipendere nei suoi fondamenti dall'oscillare dei principiche reggono le varie strutture socio-culturali, come sostiene una certaimpostazione sociologica della morale; ed è a tutti noto che i codicideontologici di fatto si basano su valori che sono il frutto di una riflessionesecolare in ambito filosofico, etico e giuridico. Non vi è dunqueluogo ad una contrapposizione tra l'elaborazione di dottrine morali applicateai vari ambiti, come la bioetica, ed i valori e principi ispiratori dellanostra Costituzione, della nostra cultura e del vivere sociale; anzi èproprio la riflessione morale di livello teoretico che interpreta e dàvoce alle diverse impostazioni culturali che si fronteggiano all'internodi una società pluralista come la nostra. Inoltre, data la complessitàsia qualitativa che quantitativa delle questioni etiche, relative alla praticadella medicina, alla ricerca e sperimentazione, alla distribuzione dellerisorse sanitarie, alle scienze della vita, nessuna branca del sapere odella prassi(neppure il più perfetto codice deontologico) puòresponsabilmente pensare di gestire solo con i suoi strumenti, il complessodella problematica etica in campo biomedico e scientifico, ostinandosi aconsiderare il riferimento alla Bioetica, oltre che inutile e pericoloso,anche "banale". Esiste anche chi ricerca una linea di mediazione"pragmatica", sostenendo l'impossibilità pratica di unadeguato insegnamento etico-filosofico ai medici, se non altro perchésarebbe impossibile "comprimere un così ampio settore del pensieroumano nell'ambito di un corso di una decina di ore".

Infine, viene ricordato che oggi esiste in realtà una mancanzadi univocità di intendere i termini "etica", "morale","deontologia", ciò che indubbiamente ha portato ad appannareil concetto di deontologia, il quale, se unicamente riferito a precettied obblighi morali, appare restrittivo ed inattuale: "la Medicina Legaleporta in definitiva il suo contributo alla ricerca dei valori semanticamentesussunti dalla bioetica, la quale resta terreno interdisciplinare d'indagine".

È evidente che tali categorie concettuali convergono verso unasumma unitaria di valori e concreti comportamenti, che comprendeanche i principi che regolano l'etica e la morale medico-scientifica. Laricerca di questa base comune, universalmente valida in quanto connaturataall'essenza stessa dell'uomo, non è dunque un tentativo astrattoed illusorio: benché sia sottoposta alla necessità di riportareil comportamento professionale ad obblighi e doveri più o meno vincolanti.

Nello stesso documento, la Deontologia Medica è detta "unadisciplina il cui oggetto è lo studio delle norme di comportamentoprofessionale specifiche delle professioni sanitarie". Finalitàdella deontologia medica è l'approfondimento essenziale e l'aggiornamentodelle norme e regole di condotta della professione medica". La MedicinaLegale infine "è per sua natura scienza interdisciplinare laquale studia con metodologia specifica i contenuti biologici e medici dellenorme giuridiche al fine di consentirne la migliore interpretazione, l'applicazionee lo sviluppo, e che collabora con la giustizia e con i privati alla soluzionedi casi che richiedono indagini e valutazioni di ordine biologico e/o medico".Per le conseguenze giuridiche e medico-biologiche che essa richiede ed inragione della sua specifica competenza nell'ambito della responsabilitàprofessionale, sanitaria, la medicina legale ha naturali connessioni siacon la deontologia medica sia con la bioetica". La Bioetica dunque,da cosa deriva la sua specificità? Dal tipo di problemi che affronta,compresi i problemi valoriali; dalla natura delle istanze etiche presentinella ricerca biomedica, indipendentemente dalla loro portata terapeutica;e infine dalla metodologia utilizzata. Le finalità della bioeticaconsistono nell'analisi razionale dei problemi morali legati alla biomedicina,e della loro connessione con gli ambiti del diritto e delle scienze umane";con la sua metodologia interdisciplinare ed i risultati a cui giunge contribuiscead orientare, aggiornare e giustificare la normativa deontologica ed ildiritto condendo, sulla base dello studio critico della natura dell'essereumano e dei caratteri del sapere scientifico.

Inoltre, la bioetica contribuisce ad inquadrare gli interventi sullavita umana in un ventaglio più ampio, discutendo criteri e limitidi liceità di interventi ed astensioni in ambiti sociali, come quellirelativi alla salute pubblica, alla medicina del lavoro, alla salute a livellointernazionale e all'etica del controllo demografico (si comincia a parlaredi etica dello sviluppo, legata anche alle situazioni climaticheed agro-alimentari di molte zone della terra); la bioetica si estende inoltreai problemi relativi alla tutela della vita animale e vegetale, ai problemidella biosfera e delle ricadute inter-generazionali di alcune politichescientifiche e socio-sanitarie.

Della bioetica come materia il ricercatore ha quindi conoscenza e stima,ma la vede piuttosto finalizzata ad ambiti precisi; per esempio, alla domandase "appartiene ai compiti della bioetica indicare dei fini allaricerca scientifica (es.: soluzione del problema della fame nel mondo, guarigionedi malattie rare), un buon 50% risponde negativamente; ma è anchesignificativo quel 30% abbondante che risponde di sì, affermandoimplicitamente che la bioetica ha da essere una impostazione morale in sensolato, applicata a tutti i problemi di alto profilo della vita sulpianeta. Che la questione sia delicata, lo testimonia quel 12% che "nonsa" pronunciarsi in proposito.

Non sfugge quindi all'attenzione dei ricercatori che, al di làdel valore intrinseco della conoscenza, "la decisione su quali conoscenzeconcentrare gli sforzi implica la considerazione di altri valori. Oggi lascelta fra diversi indirizzi di ricerca o fra diverse applicazioni pratichedella scienza ha conseguenze tempo-spaziali i cui costi e i cui beneficicadono su soggetti e perfino su generazioni differenti. Tuttavia, come sarebbeassurdo trascurarne l'apporto, appare del tutto improprio delegare, a "coloroche vivono la dinamica propria della scienza e della tecnica", decisioniche riguardano tutti, circa le priorità della ricerca scientificaper il futuro, specialmente in ambito biomedico.

Ma se è un fatto che l'esercizio del potere e quindi dell'autocontrolloin campo tecnico-scientifico, ha le sue regole (come le ha l'ambito economico,oltre le ben note "leggi di mercato"), non si può, perquesto, abdicare al dovere di richiamare continuamente la scienza e la tecnologiaad un confronto, sia con i valori morali e politici che con il diritto:sui quali si basa ogni vera democrazia. Non si tratta di dare a ricercae tecnica dei fini diversi da quelli propri - operazione destinata al fallimento,quand'anche ci si impegnasse lo Stato con tutto il peso del suo potere -ma di inserirle in un quadro di finalità più vasto e lungimirante.

Una ulteriore conferma in proposito proviene da una questione ancor piùspecifica, attinente la ricerca scientifica: la distribuzione delle risorsescientifiche tra i Paesi più sviluppati e quelli in via di sviluppo,è un problema che riguarda la bioetica? La maggioranza deiricercatori a questo punto pare inalberarsi e risponde di "no"(62,71); il resto però (34,05), generosamente risponde "sì".

Il movimento verso un diffuso riconoscimento della dimensione socialedella conoscenza scientifica, il quale nelle discussioni teoriche sembravaaver fiaccato la sua sicurezza, di fronte invece alle conquiste dell'ultimotrentennio ed in mancanza di una pari responsabilità morale e politica,sembra culminare nell'assunzione dell'impresa scientifica e del suo metodospecifico, come protagonista anche in campo socio-politico. In campo biomedicoe sanitario, in particolare, ma anche in quello della ricerca pura, l'equilibrionell'ambito delle scelte di tipo morale dovrebbe essere garantito da uno"spettatore simpatetico imparziale", classica invenzione dell'utilitarismo:un osservatorio "oggettivo" per trovare il criterio morale, dalcui punto di vista giudicare le situazioni concrete, in vista di quel calcolodei costi e benefici, che possa realmente incidere sul "massimizzare"il benessere e "minimizzare" le sofferenze del maggior numerodi individui.

Se le malattie infettive più comuni non sono state ancora debellate,se la ricerca e la stessa assistenza sanitaria sono sempre più costosee meno sicure, se molti popoli e nazioni sono esclusi dal circuito virtuosodi ricerca e sviluppo (se non a livello di oggetto, spesso inconsapevole,di sperimentazioni scientifiche): tutti questi problemi non riguardano strictusensu la scienza, ma certamente competono alla bioetica.

Indice

Ambiti normativi e allocazione delle risorse

 

Su di un tema tanto fondamentale quanto dibattuto, se il dibattitobioetico deve confluire in un ambito normativo (regulatory) o dare soltantoluogo a confronto (advisal) e scambio tra prospettive differenti, laposizione dei ricercatori del Cnr risulta molto equilibrata, ma anche diversificata."Ambedue", risponde la metà degli intervistati (46,62);mentre di numero quasi pari sono i fautori del "contributo normativo"(24,59) o semplicemente di "confronto e scambio" (26,22). Èda considerare però il fatto, che più del 70% (71,21: ugualealla somma delle risposte regulatory ed ambedue) dei ricercatoridel Cnr, ritiene opportuno che il dibattito su temi di bioetica finiscacol confluire in un ambito regolativo, anzi normativo. Un responsosignificativo quanto sorprendente, da parte di operatori nel settore dellaricerca scientifica, che secondo un luogo comune avrebbero più interessead una deregulation, utile a favorire il massimo arbitrio riguardol'oggetto ed i mezzi della ricerca.

Chiedendo però in modo esplicito al ricercatore, se ritieneche una situazione di "deregulation", in materia di bioetica,favorisca la ricerca scientifica e la prassi medica, c'è un 14%che risponde tranquillamente di sì, ed un 19% che afferma di "nonsaperlo"; ma anche sommando queste due percentuali, si ottiene chesolo per un terzo dei ricercatori (33,24) la mancanza di regolamentazionipuò favorire la ricerca scientifica: invece, la maggior parte diessi (63%) si dice convinta del contrario. In effetti, il valore e la validitàscientifica degli studi sperimentali, sono garantiti da una serie di regole,come pure la strutturazione del protocollo di sperimentazione sottostàa precisi aspetti regolatori, che vanno accertati anche dalle procedureoperative dei Comitati Etici, tenute a loro volta a specifiche metodologied'esame.

Tutti questi elementi ormai irrinunciabili non suppliscono, naturalmente,alle qualità etiche dello sperimentatore o del clinico: anzi l'eticadella virtù, si va facendo strada ance in ambito medico la cosiddetta"etica della virtù", suggerita da Alasdair MacIntyre, laquale non si chiede "che cosa dovremmo fare" ma "che tipodi persone dovremmo diventare". Senza pretendere di supplire le qualitàmorali però, principi e regole favoriscono un certo controllo a favoredella qualità della ricerca stessa: e l'ottima -non buona- qualitàdel protocollo, controllata periodicamente dal Monitor, costituiscela migliore garanzia del paziente.

Di fronte alla difficoltà di stabilire norme pilota basate sudi una morale comunemente accettata (come quella cristiana è stata,per lungo tempo, nel mondo occidentale), si è accentuata la distinzionetra ethic, o morale vera e propria di carattere individuale o diun gruppo determinato ("moralità secolare") ed ethics,o discussione morale astratta che si intreccia con una normativa da partedagli Stati ("autorità morale secolare").

Essa ha dato luogo a due nuovi tipi di orientamento: l'uno, per il qualemolte norme non sono di competenza morale dello Stato, come quelle circal'uso del proprio corpo: dalla fecondazione artificiale del tutto eterologaalla vendita di organi: "La ragione che porta a tollerare la venditadi organi o l'offerta di incentivi finanziari non ha a che vedere con checosa sia bene fare, ma con quale forma di coercizione può essereimpiegata da uno Stato secolare". Secondo un altro orientamento, affineal primo, la bioetica è vista come "un luogo di incessante elaborazionee confronto, senza immediate finalità normative, ma con l'obiettivodi fornire i materiali necessari perché, se e quando appaia necessario,si giunga a definire sistemi normativi diversi ed eventualmente integrati,affidati alla regola legislativa o amministrativa o giudiziaria, alla deontologia,alla persuasione morale, al controllo sociale".

Restando però la necessità di una normative ethics- termine che sta per "l'etica considerata come scienza pratica o comeraccomandazione delle norme da seguire" - è stato teorizzatoil cosiddetto "utilitarismo della norma", che allarga laconsiderazione dal semplice atto alle conseguenze della norma; "perciòconsidera giuste soltanto quelle azioni che sono conformi a norme che possonoessere sostenute in base a motivi utilitaristici". Esso propone disostituire al modello dello "spettatore" quello del "postulatodi equiprobabilità", strumento che dovrebbe garantire al giudizioo preferenza morale i requisiti di "imparzialità" ed "impersonalità",volti non all'interesse personale ma piuttosto collettivo.

Oltre all'influsso della filosofia empirica, è stato d'altrondenotato che "un significativo numero di medici e scienziati "particolarmentedei più anziani, sono stati potentemente influenzati dal positivismodegli anni intorno al 1930. Si ha la sensazione di sentire sempre in sottofondoA.J. Ayer: "che c'era la scienza, che era solida e reale e sviluppavavera conoscenza, e che c'era l'etica, che era religione, soggettività,questione di gusto, emotivismo, ma non un soggetto per un pubblico discorso".

Appare oggi evidente come si vada accentuando questa divaricazione tra"etica" ed "etiche" regolamentate in vari modi dalloStato, in definitiva secondo un unico dogma, il pluralismo escludente ognialtra possibilità, ed un'unica norma: stare alla maggioranza deiconsensi. Ma quel che è il caso di notare, è che questo trendsta assumendo una precisa direzione a favore del libero mercato, comeè stato sottolineato da Alain Touraine nel proporre una sua interpretazionedelle tendenze attuali: "La società e lo stato si separano:la prima si volge verso l'etica, l'altro all'economia internazionale".

L'autentica libertà di ricerca pare basarsi su altri fattori chenon la mancanza di regole, come affiora anche dalle risposte alla domanda:è accettabile che l'influenza del fattore economico (esempio:committente che finanzia la ricerca; ricaduta in termini di guadagno) determinidi fatto le scelte del ricercatore, anche in ambiti che coinvolgono problemietici? In risposta un coro di "no" (86,22), cui siaccompagna un "zoccolo duro" (10,54) di "si",altrettanto onesto forse delle numerose specifiche che accompagnano i "no",del tipo: "se fosse possibile", "facile a dirsi" etc.

La ricerca, insomma, si auspica "pura", e viene ritenuta inaccettabileuna diretta influenza del fattore economico sulle scelte del ricercatore,particolarmente per quel che concerne i problemi etici: altrettanto spesso,però, viene ritenuto inevitabile il contrario, che sia l'interessedi chi la finanzia a fungere da propulsore alla ricerca, e gli eventualiproblemi etici vadano risolti in un secondo tempo. Secondo alcuni, talemeccanismo sarebbe lecito nell'ambito della ricerca privata (industrie farmaceutiche,fondazioni, istituti di ricerca autonomi), mentre spetterebbe alla ricercapubblica finanziare un tipo di ricerca con ricadute meno immediate a brevescadenza, ma di più alto profilo e di importanza prevista a lungotermine.

A proposito di allocazione delle risorse fra vari settori scientifici,quasi il 54% dei ricercatori ritiene che sia un problema anche etico,mentre per il 36,8% non lo è affatto; l'8,4% rimane nel vago.

Se è naturale che la questione della allocazione delle risorsesubisca la pressione di indicatori di carattere scientifico, che suggerisconole ipotesi di lavoro da vagliare e le direzioni verso cui indirizzare laricerca, è altrettanto vero che nella ricerca scientifica, salvorari casi, si può trovare solo ciò che si cerca e ciòche si è in grado di cercare. La tesi che sostiene la "neutralità"della scienza e l'estraneità dei valori rispetto ai fatti - che sarebberodati non omologhi e quindi incommensurabili - appare estremamente riduttiva,all'interno degli attuali paradigmi delle scienze biologiche e mediche.

Fattori storici e sociali hanno sempre, in qualche modo, costituito econdizionato l'attività tecno-scientifica; ma mai come oggi appareevidente quanto i valori abbiano influenza sulla stessa struttura cognitivae sulle procedure della scienza, e quanto questa influenza si eserciti sostanzialmenteattraverso il fattore economico, che tende a diventare la condizione necessariae sufficiente per la ricerca scientifica, se non proprio per il suo successo.Per esempio, galoppa il progresso tecnologico (non scientifico) nel campodella riproduzione umana artificiale, ma ristagna la ricerca scientificasulle effettive cause della sterilità femminile e maschile, che cometutti sanno nei paesi industrializzati dell'Occidente è in aumento.

Nel caso della allocazione delle risorse in ambito scientifico, quindi,bisogna garantire alla scienza il massimo di libertà, che peròpuò essere effettiva (e non nominale o inopportuna) solo se risultacompatibile con alcune regole che indichino un ordine di priorità,anche nelle scelte condizionate dal fattore economico:

a) regola della soluzione dei problemi: non è da considerarsiprogresso scientifico e tecnologico quello che, realizzato, crea piùproblemi che soluzioni; da cui l'obbligo di stringenti considerazioni predittiveche precedano la messa in atto ed il finanziamento di ricerche e sperimentazioni;

b) regola dell'onere della prova: chi richiede di poter avviareo presentare una nuova conoscenza scientifica o un'innovazione tecnologicao industriale, deve poter dimostrare che essa non causa danni nésociali né ecologici;

c) regola del bene comune: l'interesse del bene comune ha la precedenzasull'interesse individuale, fin quando (contro la teoria collettivisticae corporativa "l'utile comune precede l'utile proprio") restanogarantiti i diritti umani e la dignità della persona (esempio: promuoverela medicina preventiva più di quella terapeutica);

d) regola dell'urgenza: il valore più urgente (sopravvivenzadi un uomo, di un popolo o dell'umanità) ha la precedenza sul valoresuperiore (autorealizzazione di un uomo o di un gruppo, una nazione, etc.);

e) ecoregola: l'ecosistema ha una sua preminenza rispetto al sociosistema(la sopravvivenza globale è più importante del vivere "meglio");

f) regola della reversibilità: negli sviluppi tecnici quellireversibili devono essere preferiti agli irreversibili, che devono esseresolo quelli assolutamente necessari (esempio: il mutamento genetico di cellulegerminali, dagli effetti imprevedibili ma certi sulle future generazioni).

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Le proposte di legge sulla bioetica

Le diverse ideologie hanno un'influenza sull'elaborazione di teorieetiche e sui relativi orientamenti giuridici? Su un argomento tantovago quanto delicato, i ricercatori del Cnr si fanno poche illusioni, anchese qualcuno richiede precisazioni del tipo "cosa si intende per ideologia?",(termine che infatti può andare dall'accezione più negativadi "organizzazione della società in base ad un valore totalizzante"a quella più lata di "dare spazio nella legislazione ad aspettifondamentali". Più del 76% dei ricercatori, comunque, rispondeinequivocabilmente che sì, l'ideologia ha un'influenza notevolesull'elaborazione delle varie teorie etiche; per un 20% essa è invecerelativa, e solo l'1% afferma che è nulla, mentre il2% preferisce non rispondere.

A questo punto, si passa all'indagine sull'informazione relativa ad iniziativee proposte di legge emerse nel più recente passato in Italia, riguardoalla bioetica. E qui la conoscenza non sembra molto precisa, ma piùche altro determinata da fattori come il personale interessamento in merito.È quanto risulta, per esempio, da una "domanda trabocchetto"(come è prassi che vengano inserite nei questionari, per sondarel'effettivo grado di informazione e di coscienziosità nelle risposte):infatti, un 54% si dice al corrente del fatto che in data 28/6/1995era stata istituita una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla bioeticacomposta da parlamentari e senatori, il restante 45% lo ignora completamente.Gli ignoranti, in questo caso, hanno ragione, in quanto tale Commissionenon è stata in effetti mai istituita; la data suddetta si riferisceall'Atto della Camera (A.C. 2251) relativo alla proposta di istituzionedella Commissione, che non è poi avvenuta, e della quale quindii ricercatori non potevano essere informati. È una riprovanon solo del grado di confusione e disinformazione che esiste a livellodi bioetica a livello legislativo, ma anche della mancanza di comunicazionetra mondo scientifico e mondo politico, che ha il compito di legiferare,almeno a livello di base: ma la base, a livello di ricercatori, èquella che materialmente effettua e gestisce la ricerca scientifica. Èpossibile, naturalmente, che tale "Commissione parlamentare sulla bioetica"sia stata confusa con il Comitato Nazionale per la bioetica, cheè stato istituito, come è noto, con decreto del Presidentedel Consiglio in data 28 marzo 1990, e che ha già varato numerosidocumenti e pareri su questioni di bioetica.

La domanda sulla "Commissione parlamentare d'inchiesta sulla bioeticacomposta da parlamentari e senatori" serviva anche a porre a centrodell'attenzione un tema fondamentale per la bioetica: a chi compete la responsabilitàdelle scelte in materia di bioetica, in definitiva poi a livello legislativo?Quello, cioè, che da una parte traduce il modello culturale globaledella Nazione a riguardo, e dall'altra garantisce il rispetto delle normeanche attraverso l'inevitabile aspetto repressivo.

Tagliano la testa al toro, i ricercatori intervistati, rispondendo aduna domanda che sembra porre un ventaglio di alternative, vale a dire sel'indagine sulle "prospettive concrete aperte dalle scienze dellavita"(decreto d'istituzione della Commissione parlamentare sulla bioetica),nonché l'elaborazione di proposte normative a riguardo, siano dicompetenza di politici e legislatori (20,27) o professionisti dell'ambitoscientifico e medico (28,65), giuristi (21,08), filosofi (5,95),teologi (5,95). La stragrande maggioranza infatti sceglie l'alternativa:gli stessi in collaborazione (72,43).

Ed in effetti, nessuno dei soggetti che operano in una determinata sferasociale, può essere in grado di valutare e risolvere, solo all'internodi essa, i molteplici problemi che si propongono, sia dal punto di vistadella valutazione etica che delle conseguenze civilistiche o penalistichedi determinate scelte. Questo vuol anche dire che, di fronte a questioniche sembrano essenzialmente ruotare intorno a libertà e responsabilitàindividuale, le istituzioni sociali e politiche sono chiamate a metterein gioco la propria autorità. Pur restando rispettivamente distintii profili etici e quelli giuridico istituzionali, è corretto auspicareuna netta separazione tra i due, nel nome di un diritto che "non daverità perché non cerca verità" (come giàdiceva Hobbes, auctoritas non veritas facit legem)? Ma il compitodella bioetica non è proprio quello di fungere da tramite intermedioe luogo di sintesi, tra riflessione morale e diritto?

Fermo restando che, dal punto di vista morale, la de-colpevolizzazionedi un atto non spetta al diritto civile, quand'anche fosse da esso ritenutolecito o non penalizzabile, ecco un dilemma fondamentale per i rapportitra etica e diritto: se non è più il contenuto buono (iustum)che decide cosa la legge deve comandare, ma è la forma della legge(iussum) che decide della bontà o almeno della liceitàdell'atto, allora una pratica ritenuta eticamente riprovevole, puòessere accettata come lecita dall'ordinamento giuridico ai fini dell'utilitàgenerale e del progresso scientifico?

Più della metà (51,08) degli intervistati, ritiene chel'ordinamento giuridico non può accettare come lecita una praticariprovevole dal punto di vista morale; mentre è di opposto parereun buon 10% (10,54), che sommato a quel 24,86 di "forse", ci daun 35% (35,4) di "possibilisti", per i quali la legge puòrender lecita anche una pratica sostanzialmente immorale, ai fini dell'utilitàgenerale e del progresso scientifico. C'è infine un 7% che esprimepareri diversi.

Si confrontano qui, come si vede, due scuole del pensiero giuridico,l'una in senso lato classica e l'altra più contemporanea, giusnaturalismoe giuspositivismo; ambedue concordano sul fatto che "la dignitàdella persona e la sua intangibilità sono il fondamento dell'ordinegiuridico ed anche dell'etica". Ma mentre la prima pone come fondamentociò che l'uomo è (la natura umana, che si ha in comune contutti, nel suo tipico rapporto libertà-responsabilità), laseconda, tralasciata la corrispondenza tra diritto ideale e diritto positivo,pone l'accento sulla dimensione sociale, sulla linea di quel rovesciamentodell'etica in eticità, operato già da Hegel: "Aldiritto non sta a cuore la difesa dell'etica in generale, ma esclusivamentela difesa dell'etica che gli è propria, quella della socialitàdella coesistenza, che si realizza individuando e proponendo ragionevolimodelli di azione sociale e promuovendo la difesa dei soggetti (in generei più deboli socialmente,) nei confronti di ogni eventuale e indebitaazione lesiva nei loro confronti che possa venir posta in essere da altrisoggetti (in genere quelli socialmente più forti)". Tale posizioneappare affine al giuspositivimo di Hans Kelsen, per il quale il giudiziodi valore esula dal campo della scienza giuridica: come affermava giàComte in reazione a Kant, è inutile se non impossibile la conoscenzadel valore, del dovere (fuorché l'imperativo assoluto, di obbedirealla legge per la sicurezza dell'ordine sociale e la certezza del diritto).Se perciò la morale ha un carattere emotivo e privato, come sostenevail neopositivismo logico, si giunge alla seguente conclusione: "Anchese in generale i valori umani e le spettanze soggettive possiedono una duplicee caratteristica rilevanza, allo stesso tempo etica e giuridica, potràben darsi che una pratica eticamente riprovevole possa essere consideratalecita dall'ordinamento giuridico. E potrà darsi il caso inverso:che una pratica che un soggetto sarebbe disposto ad attivare mosso da ungeneroso spirito altruistico (e quindi da ritenere moralmente apprezzabile)possa venir ritenuta illecita giuridicamente, fino ad essere formalmenterepressa, perché ritenuta obiettivamente lesiva di specifici valorisociali".

Qui non vengono forniti esempi, ma anche tra i nostri intervistati ilpensiero di molti sarà corso naturalmente al caso dell'aborto, allesperimentazioni e agli screenings su persone non libere nel dareun vero consenso o non sufficientemente tutelate (come le popolazioni deipaesi più poveri), o anche al semplice possesso di materiale pornograficoin cui si abusa di minori: dal nulla poena sine lege al nullumcrimen sine lege lo scatto è automatico. A questo assurdo (tuttii casi nei quali la moralità dell'atto viene nientificata dalla positivitàdel diritto), l'opinione pubblica reagisce con una sorta di rassegnata assuefazione,oppure si ribella deviando la propria indignazione verso forme abnormi,come il "farsi giustizia da sé". In definitiva, se èben vero che si può essere responsabili delle conseguenze di un'azionesenza essere colpevoli, e viceversa si può essere colpevoli senzaessere responsabili sul piano giuridico; ma proprio "l'impra-ticabilitàgiuridica della colpevolezza morale conduce paradossalmente verso l'esaltazionedella responsabilità oggettiva (...) questa sarebbe la nuova radiceetica della giuridicità e non più soltanto il dovere sortodalla relazione intersoggettiva di dare a ciascuno il suo". In casocontrario, nessuno sarebbe tenuto a render conto di tutti quei comportamentipericolosi e distruttivi nei confronti di soggetti e situazioni che ancoranon sono in atto: future generazioni, squilibri ambientali, etc.

Tramontato il sogno hegeliano (di un'etica "positiva" non cristallizzatacioè in leggi "astratte", ma concretizzata in un sistemaorganico di leggi ben individuate), sogno degenerato nell'incubo di sistemiideologici compatti intorno ad un "etica di Stato", resta tuttaviail problema riproposto dal sorgere stesso della bioetica. Quello cioèdi stabilire degli spartiacque tra comportamenti "leciti", sebbenediversamente valutabili da un punto di vista morale, e comportamenti chevanno al di là di condizioni che l'ordinamento stabilisce: a tutela,sia dei diritti e degli interessi altrui, sia di quel certo grado di unitàmorale, giuridica e politica (che si appella alla dignità stessadell'essere umano), la quale non solo è indispensabile a fare unaNazione di un popolo, entro i confini di uno Stato; ma è anche "necessariamentepresupposta da qualunque pluralismo delle scelte pubblicamente valutabili".Per quest'ordine di motivi viene ritenuta da più parti negativa lavacatio legis su varie questioni attinenti alla bioetica, per laquale l'Italia continua a distinguersi rispetto agli altri Paesi europei.

Ma quali sono, in termini di legge, gli ambiti più urgentida regolamentare per i ricercatori del Cnr? Al primo posto in assoluto,come si è detto, per più del 70% degli intervistati (71,08)c'è la sperimentazione su embrioni e feti umani; e quindi(63%) la cosiddetta ingegneria genetica; segue (47%) la regolamentazionedei limiti alla produzione di nuovi "tipi" di animali,la sicurezza delle biotecnologie (38%), la gestione ambientale(37%) e la riproduzione assistita (36%). Una scarsa sensibilitàa fronte della reale necessità si registra, purtroppo, sul frontedei trapianti d'organo (20%), considerato lievemente inferiore, comeurgenza di regolamentazione, a problemi come quello della allocazionedelle risorse (21,62%) o della diagnostica pre/post natale (21,35).

Tra gli ambiti più urgenti da regolamentare, dunque, al primoposto sta la sperimentazione su embrioni e feti, al secondo la cosiddetta"ingegneria genetica". Oggi in effetti la ricerca scientificain ambito biomedico punta molto più sulla terapia genica (che puòessere germinale o somatica) e specialmente sul "progetto genoma umano",quel titanico sforzo di conoscenza dei meccanismi genetici che regolanoi fenomeni vitali, per eventualmente modificarli, che ha fatto diventarela biologia una big science. Lo stesso destino pare riservato allabioetica, in stretta relazione, in quanto solo una continua stringente riflessioneetica, affidata in grande misura alla responsabilità dei ricercatori,potrà garantire che le nuove conoscenze non siano piegate ad usidistorti delle loro applicazioni: che aprano la strada, sul piano delledifferenze genetiche, a discriminazioni ed ineguaglianze ingiustificatesia a livello individuale che di intere popolazioni, al monopolio commercialedell'utilizzo delle conoscenze scientifiche, e ad altri rischi di specificheapplicazioni delle conoscenze relative al genoma umano. Basti pensare aldivario tra la diagnosi di una malattia genetica ed il trattamento terapeutico,non sempre disponibile: iato che, destinato com'è ad aumentare proprioin seguito al "progetto genoma umano", può dar luogo aprassi comuni di spietata eugenetica, rischio presente in qualche modo allasensibilità del ricercatore che segnala anche la diagnostica pre/postnatale tra gli ambiti urgenti da regolamentare. In caso contrario, "unaterribile e pervasiva idea di normalità si accamperebbe cosìnelle nostre organizzazioni sociali".

Quanto ad un preciso "ordine di priorità" degli ambitipiù urgenti da regolamentare in sede legislativa, è statafatto una ulteriore domanda specifica, e l'ordine di priorità indicatodai ricercatori Cne, a ulteriore conferma dei dati precedenti, èil seguente: prima di ogni cosa (31,62%), la sperimentazione su embrionie feti umani, seguita (14,59%) dalla ingegneria genetica; nettamentedistanziati gli altri settori: 8,38% la gestione ambientale, 4,86%la sicurezza delle biotecnologie, alla pari riproduzione assistitae allocazione delle risorse (4,05%), quasi sullo stesso pianol'urgenza di regolamentazione dei Comitati etici (2,70%) e la produzionedi nuovi animali (2,43), alla pari la legge sui trapianti e ladiagnostica pre/post natale (1,89%). Il 23,24% degli intervistati, infine,evita di esprimere un ordine di priorità.

Quel che si evince chiaramente, è una forte sensibilitàinnanzi tutto circa l'urgenza di una regolamentazione riguardante le questioniconnesse all'inizio della vita umana, e poi animale, vegetale ed ambientale.Se da una parte è doveroso tener conto, in situazioni specifiche,delle responsabilità della ricerca scientifica come pure dei legittimidesideri delle persone interessate, d'altra parte non si può accettaresenza riserve la strumentalizzazione di un essere vivente, di considerarecioè come un "oggetto" un individuo vivo, in particolaredella natura o "specie" umana, che come tutti sanno fin dal primomomento reca in sé un codice genetico irripetibile, diverso, nellasua globalità, da quello di qualsiasi altro essere umano: unicitàda qualche anno dimostrata in via sperimentale. Sono proprio le assunzionifondamentali della genetica, certamente note non solo ai ricercatori delCnr, che vietano di considerare l'embrione una "cosa", solo perchési trova nei primissimi stadi ancora del suo sviluppo, anche a prescinderedalla sua possibile identificazione come "soggetto" individualedi natura razionale, caratterizzabile come "persona". Sotto ilprofilo biologico, infatti, appare arbitraria ogni ipotesi che fissi strumentalmentel'inizio dell'esistenza dell'individuo umano al di là della fecondazione.

La sperimentazione su embrioni, la quale di fatto ne implica la soppressione,in un primo tempo si è indirizzata all'approfondimento delle conoscenzesulle prime fasi dello sviluppo embrionale, mirate a migliorare i procedimentitecnici della fecondazione artificiale. Ma dal tentativo di conoscere esuperare le cause ancora ignote della sterilità, l'ambito della ricercasperimentale negli ultimi anni - come rilevato da uno studio dell'Istitutodi Bioetica dell'U.C.S.C.- si è progressivamente allargato ad altrelinee: "1. lo studio dei meccanismi di differenziazione e di morfogenesidell'embrione umano; 2. lo studio sulla possibilità pratica delladiagnosi pre-impianto di malattie genetiche al fine di selezionare per iltrasferimento in utero soltanto embrioni geneticamente sani; 3. lo studiosull'"efficacia" di nuove tecniche abortive; 4. lo studio delleproprietà delle cellule staminali di embrioni e della possibilitàdi una manipolazione degli embrioni in vista dell'uso per trapianto; 5.i tentativi di terapia genica embrionale per via sia somatica sia germinale,attraverso l'inserimento nel genoma dell'embrione di un gene - cioèdi un frammento di dna - che dovrebbe prevenire il manifestarsi di una condizionepatologica".

Come tutti sanno, alcune legislazioni, consentono l'utilizzo di embrionie feti umani per finalità diverse: terapeutiche, per determinareil sesso in caso di malattie legate ai cromosomi sessuali, evitandone latrasmissione; per creare chirurgicamente corredi genetici vantaggiosi, medianteil trapianto di cellule tessuti ed organi prelevati da embrioni e feti,su malati che presentino delle alterazioni o delle mancanze di materialegenetico; per finalità di ricerca e di studio delle sequenze deldna del genoma umano, della sua collocazione, delle sue funzioni e dellasua patologia etc. Dietro richiesta di alcuni ricercatori, di poter disporredi "materiale biologico" sempre più fresco (cioèvivo) ed abbondante, la legge inglese dal 1990 consente la creazione diembrioni a scopo di ricerca fino al 14° giorno. Su questa strada l'utilitarismotecnologico può proporre le più disparate varianti, come l'embryosplitting (divisione di una morula in due entità separate, dicui una da congelare al fine di ottenere un gemello futuro in caso di necessitàdi donazione di organi o tessuti). C'è da dire che l'embrione umanopuò certamente essere utilizzato a scopi sperimentali, senza problemietici, dopo l'accertamento di morte: il che non coincide naturalmente conl'accertamento delle sue scarse probabilità di sviluppo o impianto,che non lo rendono adatto al trasferimento nell'apparato riproduttivo delladonna.

Il Leit-motiv della liceità della sperimentazione scientificasu embrioni umani, ritorna in un altro contesto; informando del fatto cheuna mozione approvata dalla Camera dei Deputati il 5 novembre 1988, impegnavail Governo a "promuovere una moratoria di tutte le ricerche e sperimentazionirelative alla manipolazione degli embrioni" umani, si chiede diindicare il livello di liceità di una tale manipolazione,che per il 44,9% dovrebbe essere consentita solo per motivi terapeutici(a possibile diretto vantaggio dell'embrione stesso sul quale si effettuala sperimentazione), per un 31,9% è comunque inaccettabile,mentre un 8,9% la considera accettabile; significativo anche quel10,3% che non sa pronunciarsi.

Tale posizione corrisponde all'indirizzo assunto di recente (luglio 1997)dalla commissione giuridica del Parlamento europeo, dalla quale viene, suproposta di Carlo Casini, il primo "no" ai procedimenti che utilizzinoembrioni umani o che facciano ricorso alla clonazione.

Quanto all'iniziativa che ha suscitato vivaci opposizioni, la propostadi recente avanzata in Parlamento, d'esplicito riconoscimentogiuridico (non definizione normativa) dell'embrione umano, per tutelarlosin dal momento della fecondazione da lesioni, alterazioni della strutturagenetica, etc., essa viene giudicata opportuna dal 47,3%e accettabile dal 22,4% (valutata positivamente, quindi, da un totaledi 69,7% dei ricercatori), al contrario un 12,9% la giudica del tutto inaccettabile,mentre permane quel 10% (10,27) che in questo caso desidera pronunciarsidiversamente.

Ben presente infine appare la considerazione - al terzo posto delle urgenzetroviamo, infatti, la gestione ambientale - che la riflessione sull'agire"umano" va necessariamente estesa anche ai limiti della utilizzazionedelle risorse presenti in natura, nonché ai problemi sollevati dalcontinuo ampliamento delle potenzialità d'azione, sugli esseri viventie sugli elementi naturali. Gli elementi di valutazione dell'azione dell'uomo,partendo dal concetto di responsabilità più che di padronanzanei confronti degli altri esseri viventi animali e vegetali, fanno capoinnanzi tutto al positivo raggiungimento di una "sicurezza" circale sue conseguenze, concetto già tradotto in molte disposizioni legislative(CEE, 1990).

Anche nel nostro ordine di priorità, ai problemi dell'ambientesegue immediatamente (5%) la sicurezza delle biotecnologie, terminecon cui come è noto si intende "ogni tecnica che utilizza organismiviventi (o loro parti) per fare e modificare prodotti, per migliorare pianteed animali o per sviluppare microorganismi per usi specifici", secondol'ampia definizione dell'Office for Technology Assessment del Congressodegli Stati Uniti d'America (ota, 1984). Le biotecnologie innovative(derivate dall'utilizzazione congiunta di nuove tecniche biologiche: ingegneriagenetica, coltura di cellule in vitro, produzione di anticorpi monoclonali),comportano "l'impiego confinato di microorganismi gene-ticamente modificatie l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati".È in questa fase di prodotto finale che si presentano rischi la cuigittata a lungo termine non è facile da valutare, né saràpossibile potenziare le capacità previsionali senza un serio impegnoscientifico in tale direzione. D'altra parte, le bioetecnologie sono datempo considerate un settore d'investimento strategico, in campo chimico-farmaceuticoe agro-alimentare soprattutto; risale al febbraio 1983 la presentazionedel primo Rapporto sulle biotecnologie in Italia, che mostra il loropotenziale di applicazione nel mondo della produzione, cercando di ridimensionareimprecisioni ed allarmismi. Nel 1987 viene definito il programma nazionaledi ricerca (pnr) sulle biotecnologie avanzate, che resta di fatto incompiutononostante la previsione d'investimento di 400 miliardi. Nel 1994 una nuovacommissione è incaricata dal Ministro della Ricerca di rivedere itemi non attivati in precedenza e lanciare un nuovo pnr. Si va accentuandola tendenza emersa sul piano internazionale, dove la crescita è diventataancora più tumultuosa, con una spettacolare espansione delle societàseguita da una drastica contrazione; sebbene ridimensionata, l'industriabiotecnologica italiana mantiene nicchie di ricerca di alto livello conuna discreta rete di laboratori pubblici. Sembra inevitabile che alla fineresti uno zoccolo duro di industrie specializzate, ma certo se la ricercaviene pilotata più che altro da investimenti privati, non si puòpretendere che venga data la priorità ad "innovazioni tecnologichedi cui risultino chiare l'opportunità e l'utilità sociali",né di poter per esempio impedire, senza opportuni controlli di tipopubblico, che "aziende e centri di ricerca pubblici italiani sperimentinoall'estero - e in particolare in zone poco protette dal punto di vista normativo,come i Paesi del Terzo Mondo - innovazioni ritenute troppo rischiose inpatria". Il Comitato nazionale per la Bioetica italiano giànel 1991, pubblicando un Documento sulla sicurezza delle biotecnologie,aveva dichiarato tra le altre cose di ritenere "necessario che vengagarantita una completa uniformità di criteri di valutazione del rischioe di misure di controllo sulla sperimentazione di innovazioni tecnologiche.La Commissione Europea ha recentemente approvato il finanziamento di 96progetti del programma in biotecnologie, per un importo totale di 113,6milioni di ecu, che vertono in particolare su:

a) l'impiego di batteri per dissolvere i prodotti chimici che inquinanol'acqua e il suolo;

b) lo sviluppo di nuovi antibiotici e di vaccini cellulari per curareil cancro;

c) il ricorso a marcatori molecolari per preservare la biodiversità.

La partecipazione dell'industria (oltre a quella degli istituti di ricerca,delle università ecc.) è aumentata notevolmente: tre progettisu quattro coinvolgono un socio nell'industria. Anche il Consiglio Nazionaledelle Ricerche ha avviato molti progetti nel campo delle biotecnologie,considerato un settore strategico anche per la ricerca.

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Terapia genica e brevettabilità

 

Per terapia genica, come è noto, si intende l'introduzione inorganismi o cellule umane di un gene, un frammento di dna, per prevenireo curare una condizione patologica, utilizzando generalmente il seguenteprocedimento: prelievo e coltura in vitro di cellule proliferantidal paziente affetto; introduzione nelle cellule coltivate del gene normale;reintroduzione delle cellule modificate geneticamente nel paziente. Dalpunto di vista teorico, la terapia genica somatica permette la guarigionecompleta e permanente dei pazienti affetti, a seguito di un singolo trattamento,anche se le limitazioni tuttora presenti nell'utilizzo dei sistemi cellularirichiedono ancora trattamenti ripetuti. Esistono anche dei rischi inerentialla tecnica stessa, quali per esempio: "possibili mutazioni dannosedovute alla inserzione casuale del costrutto genico nella cellula; l'attivazionedi geni che possono causare disordini proliferativi e l'eventualitàdi fenomeni di rigetto (dovuti all'acquisizione di nuove specificitàantigeniche da parte delle cellule modificate". Tale terapia del tiposomatico non presenta problemi etici o giuridici rilevanti, anche se devenaturalmente sottostare ai criteri di ogni prestazione scientifica (presuppostiscientifici accettati, indicazioni precise, assenza di controindicazionie di terapie più efficaci, calcolo rischi-benefici, consenso informatodel paziente). Vanno tuttavia poste in atto alcune misure legislative ariguardo. Considerato intanto il carattere ancora sperimentale della terapiagenica somatica, il medico non è obbligato alla prestazione finchéessa non diventa uno strumento terapeutico consolidato: e ciò significa,in mancanza di centri specializzati istituiti per legge, non poter far fronteal diritto di tutti i malati alle cure. In secondo luogo, vanno adottatemisure di controllo sia sul materiale, che sui metodi e le procedure seguitenegli interventi di terapia genica somatica (come, per esempio, la notificadei protocolli seguiti presso apposite strutture previste dall'ordinamento,o la valutazione dell'idoneità di laboratori ed operatori, dato l'altolivello di sofisticazione delle tecniche cui si fa ricorso).

I ricercatori del Cnr sembrano molto informati e consapevoli riguardoappunto la terapia genica su cellule somatiche (il trasferimento cioèdi un gene sano in cellule prelevate da un individuo con geni difettosie successivo reimpianto delle cellule manipolate), metodologia che puòconsentire di correggere alcune malattie genetiche. Alla domanda piùsemplice, se ritiene che questo tipo di terapia ponga problemi etici,diversi da quelli di una terapia farmacologica, il 56,2% risponde dino; dei problemi etici si pongono, invece, per il 25,9 degli intervistati,mentre un 16,2 risponde di non sapere.

Tali percentuali cambiano in risposta ad una questione più delicata,riguardante cioè il trasferimento di un gene su cellule dellalinea germinale umana, tecnica che potrebbe consentire di preveniregravi difetti genetici nell'individuo che nascerà: in questo casoperò il patrimonio genetico manipolato verrà trasmesso allefuture generazioni.

Tale procedura comporta problemi etici per il 58,7%, non ne comportaaffatto per il 25,1% dei rispondenti, dei quali il 13,2% è incerto.La differenziazione tra le due questioni, apparentemente simili, attestail livello di conoscenza raggiunto dai ricercatori del Cnr, i quali in lineadi massima appaiono aperti alle procedure scientifiche più avanzate,ma in modo abbastanza cauto, o ritengono di non dover avanzare affatto sulterreno della sperimentazione sulle cellule germinali dell'uomo, le qualipotrebbero intaccare il patrimonio genetico di intere generazioni in mododifficile da definire scientificamente. "Dal punto di vista scientifico-empiricol'improponibilità dell'intervento deriva dal fatto che non esistonoancora sufficienti basi concettuali e tecniche per prevedere gli effettidi una terapia genica germinale sullo sviluppo dell'individuo e della suadiscendenza; non si deve tuttavia considerare preclusa in futuro la possibilitàche, con l'acquisizione di nuove conoscenze e lo sviluppo di tecniche piùefficienti, si realizzi una integrazione mirata di geni nella linea germinalesenza alterare la struttura e la funzione del genoma". I principi eticichiamati in causa sono: la intangibilità del patrimonio geneticopersonale di un soggetto (che potrebbe essere bilanciato dal diritto individuale"al mantenimento o al recupero dell'efficienza della propria dotazionegenica") e la diretta responsabilità verso le future generazioni.Ma mentre gli interventi con carattere e finalità di terapia genicagerminale non presentano problemi (ed in questo, probabilmente, la domandadel questionario era troppo concisa e quindi non abbastanza chiara), dalpunto di vista giuridico, l'ipotesi di possibili modificazioni genetichenon terapeutiche delle cellule germinali, invece, "si mostra in contrastoinsuperabile con il diritto di ciascuno alla preservazione della propriaidentità genetica, strettamente ancorata alla garanzia costituzionaleche tutela direttamente la dignità di ogni singola persona".

Il problema della modificazione genetica coinvolge complesse questionidi etica ambientale ed etica sociale, ma trascina con sé anche quellodella brevettazione dell'insieme degli organismi viventi, inferiori e superiori.Fino agli anni '80 il riconoscimento della brevettabilità dei procedimentimicrobiologici era stato interpretato, nell'Europa come negli Stati Uniti,sulla base di discipline diverse ma non dissimili: alle autoritàcompetenti era consentito rilasciare brevetti di procedimento nel caso fossedimostrato l'utilizzo di microrganismi esistenti in natura per raggiungereun qualche risultato inventivo. L'individuazione di limiti entro i qualicollocare la brevettazione del vivente il cui patrimonio genetico vienemodificato, implica innanzi tutto il riconoscimento di un diverso valoresia tra organismi viventi e soggetti inanimati che naturalmente tra partidel corpo umano, anche solo linee cellulari o geni. Infatti, benchéle cellule e le colture cellulari siano considerate estranee al concettodi microorganismo, in presenza della assoluta unicità morale di taliparti del corpo umano, l'eventualità di brevettarle si autoesclude,come intrinseco disvalore. Nella amplificazione del concetto di microorganismo,in effetti, da tempo si muove la giurisprudenza internazionale. Per esempio,nella "proposta modificata" della direttiva europea sulla protezionedelle invenzioni biotecnologiche, è stata positivamente disconosciutala possibilità di brevettare parti del corpo umano.

Il dato più significativo che si evince dalla nostra indagine,risulta in effetti il "no" dei più (70,8%) alla liceitàdi un "brevetto" delle cellule umane germinali, cui corrispondeun "no" (66,8%) al brevetto di nuovi geni il "no" (64,6%)al brevetto di cellule somatiche ed il "no" anche al brevettodi nuove sequenze nucleotidiche (63,8%).

Circa le informazioni genetiche, "l'accesso e la proprietàdei dati rappresenta un problema molto delicato, che oggi costituisce materiadi controversia a livello internazionale (...). L'intenzione di chiederela brevettazione di sequenze intermedie, non complete, la cui funzione nonè stata interamente chiarita, ha provocato ampie reazioni e protestenella comunità scientifica internazionale e da parte degli stessigoverni. Alcuni enti di ricerca hanno conseguentemente deciso di restringerel'accesso ai dati e alle informazioni da loro prodotte e conservate".

Il 16 luglio 1997 il Parlamento Europeo, a Strasburgo, ha vietato anchei brevetti sulle invenzioni che possono avere ricadute positive nella biotecnologiaumana.

Un pò più possibilista, il ricercatore Cnr si dichiarariguardo la brevettabilità di nuovi "tipi" di organismivegetali (lecita per il 51,6%); anche se dal punto di vista etico sembraporre meno problemi, certo la protezione dell'innovazione vegetale non puòassumere le forme rigide tipiche delle invenzioni materiali. Un rischiomerita la massima considerazione: che la brevettazione dei vegetali vadaad aumentare il divario di reddito e di potere, esistente tra i Paesi ricchie tecnologicamente avanzati del Nord ed i Paesi poveri anche se pieni dirisorse biologiche, del Sud del pianeta. La Convenzione di Rio de Janeirosulla biodiversità (seguita alla Conferenza del 3-14 giugno 1992sull'ambiente e lo sviluppo), auspica proprio "l'avvio di politichenazionali coordinate, volte al perseguimento degli obiettivi planetari chein essa sono proposti: evitare l'impoverimento drastico delle varietàcoltivate, impedire la distruzione di equilibri millenari di convivenzaambientale delle specie vegetali, civilizzare l'interscambio di germo-plasmacon i Paesi del Terzo Mondo, etc..

Le limitazioni che gli Stati dovrebbero porre alla protezione brevettualedi animali multicellulari, secondo la suddetta direttiva comunitaria nella"proposta modificata", esclude intanto "i procedimenti dimodificazione dell'identità genetica degli animali tali da infliggereloro sofferenze o menomazioni corporali senza utilità per l'uomoo per l'animale". Il Comitato Nazionale di Bioetica italiano, inoltre,nel suo Documento raccomandava come opportuno che "la liceitàdella sperimentazione sia subordinata a particolari scopi socialmente utili",e come importante che "le autorità nazionali promuovanol'approvazione di discipline legislative volte ad evitare l'estensione abnormedella protezione brevettuale delle invenzioni biotecnologiche".

 

Nei riguardi infine di nuovi tipi di animali più della metàdei ricercatori (53,2) ritiene invece che debba essere ritenuto illecitostabilire un "brevetto", mentre lo ritiene lecito un buon terzodei ricercatori (30,8%). Tali indicazioni sembrano andare nel senso, diporre precise limitazioni alla portata della protezione brevettuale di invenzioniriguardanti organismi viventi superiori, senza escluderla del tutto, siaper tutelare valori di grande rilievo sociale che per salvaguardare la circolazionelibera delle invenzioni e dei loro prodotti.

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Riproduzione assistita

Alla domanda se è al corrente del fatto che è in faseavanzata di elaborazione la legislazione in materia di tecniche di riproduzioneassistita e sperimentazione su embrioni, una discreta maggioranza deiricercatori (52,70%, dato che rivela forse un certo scetticismo in merito),risponde di non esserne informata, rispetto invece ad un 44,32% che se nedice a conoscenza. La legge sulla fecondazione assistita è effettivamentein fase avanzata di elaborazione al Parlamento italiano: la CommissioneAffari Sociali, dopo aver studiato e valutato le varie possibilità,ha dato incarico ad un ristretto "Comitato dei Nove" di armonizzarele proposte legislative più differenti in merito, non senza averfatto precedere audizioni di scienziati e specialisti italiani, e di componentipubbliche come società scientifiche, associazioni etc.

Una questione d'interesse più economico si potrebbe dire, chestrettamente etico, è la seguente: la sterilità e l'infertilità:debbono venire equiparate ad altre patologie e, quindi, le terapie diriproduzione assistita devono essere poste a carico del Servizio Sanitarionazionale? Un netto 50% risponde di no, cosciente forse del fatto appuratoche molte volte sterilità (maschile) ed infertilità (femminile)non sono causate da patologie specifiche, ma da cause indefinibili. C'èperò un 33,33% che si dichiara a favore della messa a carico delloStato delle tecniche sanitarie a favore della riproduzione umana, mentreun 16,22 non sa pronunciarsi sulla difficoltà dell'alternativa.

La direzione in cui pare incanalarsi la nuova legge sulla riproduzioneassistita è quella dell'indirizzo sociale, vale a dire di renderecompletamente rimborsabili gli interventi a favore della procreazione assistita;la ragione è quella di consentire di avere un figlio a chi ne èimpedito, da cause anche naturali e non patologiche, e non dispone dei mezzinecessari per pagare i rilevanti costi dell'assistenza di ordine medico.Certo l'onere finanziario per lo Stato non sarà indifferente e dovrannoessere predisposte una serie di regole per impedire ogni genere di abusi:non è scientifico né etico, "sottoporre una coppia adun procedimento di fecondazione assistita (senza reale necessità)senza le massime garanzie possibili di riuscita, tra cui fondamentale appuntol'accertamento del potenziale teorico di fertilità".

Tra le ragioni a favore del farsene carico da parte del Servizio SanitarioNazionale influisce, forse, pure la denatalità, giunta in Italiacome è noto ai minimi mondiali: anche se, su 100 coppie trattate,si arriva al 15/20% di "bambini in braccio". Ma occorre ancheinvestire nell'incentivazione di "ricerche relative alle cause dellasterilità - sconosciute nel trenta per cento dei casi - e alla possibilitàche queste siano prevenute ovvero rimosse. Tale ricerca appare quanto maiurgente, perché si renda evitabile il ricorso ad una eccessiva medicalizzazionedell'atto procreativo e si dia alla medicina la possibilità di svolgereanche un ruolo terapeutico in senso stretto, volto alla prevenzione e allarimozione delle cause di sterilità". Occorrerebbe anche incentivaremetodiche efficaci diverse, sicure ed a basso costo (come l'intervento sulmeccanismo di maturazione dei follicoli).

Se, come si prevede, non si tratterà di una semplice legiferazionein materia di assistenza tecnologica alla procreazione umana, ma di un impegnoformale assunto dallo Stato, anche in termini di economia sanitaria, tantopiù allora sipo ne la questione di determinati limiti morali chenon solo assicurino il rispetto delle persone, compreso il nascituro, mache corrispondano a criteri predittivi e di controllo degli "effetticollaterali" negativi, sia a livello scientifico che sociale, comeesigono attualmente le politiche scientifiche e sanitarie. Per fare un esempio,la fecondazione artificiale eterologa (con seme o ovulo di persone estraneealla coppia): come tutti sanno, in Svezia a distanza di vent'anni si èdovuta cambiare la legge, che imponeva l'anonimato del donatore, per venireincontro alle legittime istanze dei maggiorenni che desiderano conoscerele loro origini biogenetiche, anche indipendentemente da necessitàdi ordine diagnostico-terapeutico (senza considerare i casi di psicosi sociale,dei molti adolescenti convinti di non essere "veri figli" deirispettivi genitori).

È stato notato che nei casi limite o in quelli in cui la fecondazioneassistita non assume carattere terapeutico (è il caso della stessafecondazione eterologa), ma piuttosto da medicina dei "desideri"(che secondo recenti studi sociologici, vanno a prendere il posto dei "valori"),allora il contrasto tra diverse opzioni etiche si acuisce, invece di stemperarsi:come è forse inevitabile trattandosi di zone limite, in cui l'essenzadei diversi modelli etici si delinea con maggiore evidenza. Ma "alpluralismo di opinioni teoriche, soprattutto in campo morale, corrispondedavvero "un'effettiva frammentazione dell'ethos civile"? Un'affermazioneperentoria in merito non è giustificata, data la mancanza di studi,ricerche o dati a riguardo, e considerata pure l'assenza di un qualsiasiserio dibattito pubblico, che coinvolga sia la massa che le varie componentidella società, categorie interessate, ordini professionali etc.;stranamente anzi, quanto più si avvicina l'esito legislativo, tantopiù tace "l'opinione pubblica", quella almeno filtrataattraverso i più potenti mezzi di comunicazione. Né varrebberoa far testo le proiezioni dei risultati elettorali comparate con le posizionidei diversi partiti, perché al loro interno paiono coesistere fortidivergenze in materia di bioetica. C'è da chiedersi tuttavia, unapossibile intesa trasversale tra le diverse componenti del Parlamento, qualeopinione rispecchierà effettivamente? Sarà espressione dellacoscienza sociale della maggioranza o di una ben orchestrata cultura radicaledi minoranza? Avrà luogo anche in sede istituzionale l'auspicatoesauriente dibattito, che permetta di non by-passare il pubblicoconfronto, così necessario su di "un aspetto costitutivo nellaformazione stessa della società", sul quale cioè si giocanovalori fondamentali, la convivenza civile e la stessa identità culturaledi un popolo?

L'opinione generale (62,70%) degli addetti alla ricerca del Cnr, èche la riproduzione assistita non può essere ammessa intutti i casi; un 16,49% è invece fautore del "diritto alfiglio" ad ogni costo, mentre un 18,11% preferisce non pronunciarsi.

Anche nel suo ambito più tipico, all'interno di una famiglia "societànaturale fondata sul matrimonio" (Carta Costituzionale), dove la coppiain età fertile ha oggettive difficoltà di ordine sanitarionell'avere un figlio, la procreazione assistita presenta un ventaglio dirisvolti diversi, etici e sociologici, psicologici e giuridici. Occorrevalutare alcuni elementi che riguardano direttamente il terzo soggetto interessato,il concepito tanto desiderato; conseguenze dirette della tecnica utilizzataper la fecondazione in vitro, sono spesso la perdita di embrioni (e la crioconservazione,la sperimentazione su di essi e l'eventuale successiva distruzione) o lacosiddetta "riduzione fetale" (l'eliminazione nel grembo maternodi feti anche sani, ma in sovrannumero rispetto ai desideri della coppiaed alle cautele dovute a gravi complicanze, per la salute della madre ela sopravvivenza dei nascituri). Di recente si é ormai affermatauna nuova tecnica, la ICSI. Si tratta della Iniezione introcitoplasmaticadel nucleo dello spermatozoo nell'ovulo; messa a punto per ovviare ai problemidell'infertilità maschile, si rivela però efficace anche peraccendere una sola vita per volta, con una buona percentuale di gravidanze(28% per tentativo, contro il 4% ch si aveva con la FIVET, fecondazionein vitro), ed ovviare così a moltiti i problemi riguardanti la soppressionedi embrioni e feti vivi in sovrannumero. Tali problemi certo non si pongonose si considera il concepito (embrione o feto) come un mezzo di cura dellasterilità o come un prodotto della tecnica biomedica di cui beneficiarequando si vuole: e non invece un soggetto vivente meritevole di tutela,come ha ritenuto il Comitato Nazionale per la Bioetica italiano. Ma ancheal di là di questi, i problemi si acuiscono se subentra un tertiumdatur estraneo alla coppia genitoriale, nel caso cioè della fecondazioneeterologa: alla luce per esempio delle recenti acquisizioni sui test genetici,si può garantire la "salute" anche psichica del donatoredi un patrimonio genetico, senza accertamenti clinici specifici? Saràl'eugenetica chiamata a risolvere ogni problema, con lo scarto del prodotto(del concepimento) difettoso?

Un punto di vista scientifico esige di fondare ogni valutazione, specialmentequelle di ordine giuridico, su questi aspetti concreti, piuttosto che suquelli astratti, i quali vedono nella fecondazione eterologa "l'autenticoarchitrave" non solo della procreazione assistita, ma "della possibilitàdi individuare una disciplina giuridica degli interessi dislocati in posizionedi reciproca tensione" non ultimi certo gli interessi economici; considerazioniteoriche che, in buona sostanza, vedono nella fecondazione eterologa lapossibilità per il potere giuridico istituzionale di sancire la suasupremazia sull'etica e sulla scienza come sul pubblico dissenso; per latecnologia medica la possibilità di espandersi anche economicamentesenza responsabilità di nessun genere, e per il relativismo eticodi veder sancito il proprio primato: restando tuttavia inevase le possibilitàdi certezza sulle condizioni di salute, a cominciare dai punti di vistagenetico e psicologico, del bambino nato da fecondazione in vitro eterologa.

Se di una cosa sono assolutamente certi, i ricercatori del Cnr (al 92,97%),è che la pratica della riproduzione assistita deve tutelare idiritti del nascituro (solo l'1,08% risponde "no", "nonso" il 3,51%).

Per quanto possa sembrare arduo, nel caso della fecondazione non naturale,definire quali siano questi diritti del bambino (il diritto a ricevere unpatrimonio genetico non manipolato, il diritto ad avere e conoscere la propriaidentità personale e familiare, uno status certo e stabile,etc.), sembra logico che possano vigere per la riproduzione assistita glistessi criteri che valgono per l'adozione, che tutelano prima di tutto ilbene ed i diritti del minore e che portano quindi ad escludere, come genitori:quelli troppo avanzati in età; le coppie dello stesso sesso; la donnasola; i defunti; le coppie che non forniscano adeguate garanzie di stabilità.Questa correlazione tra adozione e fecondazione assistita è giàstata denunciata come un dato di fatto, da alcuni giudici dei Tribunalidei Minori, i quali registrano sia il calo delle richieste, sia la pretesadi non sottostare a quei limiti che paiono tanto più spropositati,se raffrontati alla totale liberalizzazione della procreazione artificiale,in atto ormai da quasi vent'anni e considerata un'acquisizione di fatto"sul piano della pratica sociale".

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Fasi terminali della vita

Quanto ai problemi di bioetica relativi alle fasi terminali della vitaumana si è cercato, anche qui, di appurare prima di tutto il gradodi conoscenza di questioni e termini linguistici, sui quali non èdifficile ricevere informazioni inesatte. Cosa si intende, per esempio,per "morte cerebrale"? Com'è noto, si tratta di un criterioneurologico, che si accompagna ad altri criteri anatomici, clinici, biologicie cardiaci, per accertare la morte, intesa come "danno cerebrale organicoirreparabile, sviluppatosi acutamente, che ha provocato uno stato di comairreversibile, dove il supporto artificiale è avvenuto in tempo aprevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico". Per morte cerebrale,rispondono i ricercatori Cnr intervistati, ...a norma di legge, si intendeuno stato accertato di: elettroencefalogramma piatto, rispondonoi più (76,49%), e assenza di polso e di battito cardiaco, di riflessopupillare e di risposta al dolore per il 6%. Le risposte sono complementari,per legge vere ambedue: la differenza sta nelle modalità di accertamento,più tecniche o più dirette, ma "ambedue identificanocomunque l'essenza del concetto di morte nella perdita totale ed irreversibiledella capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propriaunità funzionale". Un 7,3% invece intende per "morte cerebrale"lo stato vegetativo persistente (pvs), che è piuttostola "morte corticale", condizione clinicamente definita dalla "necrosidella sola area corticale del sistema nervoso centrale, pur rimanendo integree funzionanti le strutture troncoencefaliche". La differenza tra morte"cerebrale" e "corticale" è fondamentale, nonsolo perché il "coma vegetativo" per quanto persistente(cronico, rispetto al semplice coma) non è irreversibile; ma perché,pur in assenza delle capacità di relazione, "permangono attivela capacità di regolazione (centrale) omeostatiche dell'organismoe la capacità di espletare in modo integrato le vitali funzioni,compresa la respirazione autonoma"; Tale percentuale potrebbe rispecchiare,più che una mancanza di informazione, una determinata opinione, secondola quale la dichiarazione di morte verrebbe giustificata dalla presuntaimpossibilità di recuperare una sufficiente vita di relazione, unaaccettabile "qualità di vita". Se così fosse, questodato sommato al 9,7% che preferisce non rispondere, darebbe un 16% di ricercatoriche non conosce o che non accetta la definizione, ormai sancita anche perlegge, di "morte cerebrale"; se tale percentuale si verifica inun'area di cultura medio-alta, come si presume sia quella dei ricercatoriCnr, è facile immagine quale congerie di dubbi e sospetti possa insinuarsinella stragrande maggioranza di persone che non ha mai avuto occasione,se non di fronte ad eventi tragici quanto improvvisi, di essere informataesattamente circa le caratteristiche, assunte poi solo dall'1% di casi,della morte cerebrale come distruzione completa ed irreversibile di tuttoil contenuto della cavità cranica", cioè di tutto l'encefalo,fino al primo segmento cervicale.

Alla domanda cosa intende per "eutanasia", (che puòessere letta in modo ambivalente: la definizione, o quello che si vorrebbe),un 41,62% si esprime secondo la definizione canonica: un'azione o un'omissioneche di sua natura o nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminareogni dolore allo stadio terminale di una malattia; per una percentualesimile (39,73%) si tratta della possibilità per un paziente congravi sofferenze fisiche di darsi la morte, essendo medicalmente assistito:sarebbe più esatto dire quindi: "suicidio razionale assistito".L'azione a ben guardare è esattamente la stessa, ma considerata dalpunto di vista "soggettivo" del paziente, come corrispondenteai suoi "desideri", che da un punto di vista "esterno",considerata una "oggettiva opportunità" di por fine aduna esistenza "indegna di essere vissuta", nel caso il pazientenon sia in grado di decidere per sé. Quanto criteri di questo generesi avvicino a quelli che sostengono la liceità della pena di mortee della libertà di disporre di sé, suicidandosi in modo razionaleed assistito, anche senza la pressione di cause "oggettive" disalute fisica (ma di grave sofferenza psichica, per esempio), sono valutazioninon ancora forse sufficientemente approfondite dalla letteratura bioetica.

Per un 15,41% infine, la "dolce morte" consisterebbe nellasospensione di terapie in caso di malattia inguaribile, ad esclusione deisedativi del dolore: definizione questa, che si riferisce piuttostoalla rinuncia al cosiddetto "accanimento terapeutico", caso bendiverso e certo non problematico: fatta salva la valutazione personalizzatadel caso clinico e la volontà espressa dal paziente o da chi lo rappresenta,infatti, è degna di tutto rispetto la scelta di rinunciare alle terapie,che "prolunghino indebitamente il processo irreversibile del morire"(certo senza sospendere le cure palliative, cioè tutta l'assistenzapsicologica ed esistenziale nonché farmacologica di sollievo al dolore,anche quando i farmaci dovessero indirettamente accelerare il momento deltrapasso). Occorre invece chiedersi, se il mantenimento in vita di pazientiin stato vegetativo persistente (pvs), può essere considerato comeaccanimento terapeutico, ed è quindi giustificato ricorrere alla"eutanasia passiva". In campo scientifico e di politiche sanitarie,in America ma anche in Europa, va manifestandosi un orientamento in questadirezione, "considerando che il prestare assistenza sanitaria ai pazientitanto da guarire quanto terminali nell'ambito di un medesimo istituto ospedalierocomporta un sovraccarico sanitario, psichico e morale per i medici, i paramedici,i pazienti e i loro familiari". In Italia "la situazione appareancora poco definita: il Codice Deontologico Italiano approvato nel 1995non fa esplicita menzione dei pazienti in stato vegetativo persistente.Esso, pur affermando che "il medico non deve intraprendere attivitàdiagnostica o terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato"(art. 31) aggiunge che "in caso di compromissione dello stato di coscienza,il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finchéragionevolmente utile (art. 36, II comma). Un ulteriore comma del medesimoarticolo afferma che "in caso di morte cerebrale, il sostegno vitaledovrà essere mantenuto sino a quando non sia accertata la morte neimedi e nei tempi stabiliti dalla legge". Al contrario, un gruppo distudio della Società Italiana di Neurologia ha proposto di considerarelecita la sospensione di ogni terapia di sostegno vitale, incluse la nutrizionee idratazione artificiali, motivando tale conclusione con l'identificazionedi condizione di svp e morte della persona; tale criterio corticale di morteè stato ritenuto inaccettabile dal Comitato Nazionale per la Bioeticaed, inoltre, l'attuale ordinamento giuridico non prevede alcun "criteriocorticale" per l'accertamento della morte".

 

A conferma della vasta eco che il tema dell'eutanasia riscuote nell'immaginariocollettivo, dato che non vi è alcuna proposta di legge in materiadi eutanasia (salvo naturalmente la legge che la vieta), vi èun vasta maggioranza (72,43%) che riterrebbe invece opportuna una legislazionein merito, un 12% invece non vede questa necessità, o forse valutai possibili risvolti negativi a livello della sicurezza personale, di nuovenormative più "aperte"; un 13% non si pronuncia. La richiestadi una legislazione più specifica sull'eutanasia, esprime certo un'esigenzaparticolarmente sentita ai giorni nostri, dati i progressi della medicinarelativi all'accertamento di morte, all'animazione artificiale ed al consensoinformato; può anche manifestare un disagio inespresso, perchénel caso che l'intangibilità della vita umana non sia piùun principio indiscusso, inevitabilmente si indebolisce (a livello moralee quindi di sicurezza sociale diffusa) "l'obbligo di garanzia"che deriva al medico dalla sua specifica professione: senza certezza didiritto penale, alcuni medici o paramedici potrebbero agire nella "tolleranza"dell'autorità giudiziaria. Inoltre, "l'autorizzazione per leggedi pratiche eutanasiche (sia pure per esplicita richiesta del paziente)non potrebbe fugare il sospetto che "pratiche" eutanasiche possanocomunque essere perseguite anche al di fuori del consenso del soggetto".La richiesta a grande maggioranza di una legge sull'eutanasia significa,in ogni caso, il rifiuto di escludere il piano giuridico dal dibattito sultriste tema dell'eutanasia, estremismo speculare a quello che vorrebbe ridurrela questione dell'eutanasia a quella della sua migliore organizzazione socio-giuridica.Come minimo, una tale legge dovrebbe fornire garanzie, con un supporto adeguatoa livello di informazione, circa l'esclusione dell'accanimento terapeutico,il rispetto della volontà del malato sulla sospensione delle cure,garanzie circa uno scrupoloso accertamento di morte e l'esclusione di unaeutanasia ospedaliera clandestina quanto tollerata, che scredita le istituzionipubbliche di cura e danneggia la scelta in favore del dono dei propri organiper i trapianti.

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Trapianti e consenso

Una informazione adeguata costituisce, probabilmente, la migliore preparazionealla tanto auspicata "cultura della donazione" di organi per salvarealtre vite umane, ancora piuttosto carente in Italia; ma è altrettantoevidente che, se lo scopo è solidaristico, una cultura della solidarietànon si può imporre e tanto meno ottenere per legge anzi da alcunisi teme possa essere soppiantata da una "cultura dell'esproprio",degli organi propri o dei congiunti, in caso di accertato decesso. A questodilemma si è pensato di ovviare con una proposta di legge detta del"silenzio-assenso", in base alla quale, dopo una massiccia campagnadi informazione anche riguardo "l'assoluta attendibilità deicriteri di accertamento di morte", i cittadini maggiorenni sarebberochiamati ad esprimere apertamente (in modi accessibili) il loro dissensodal mettere a disposizione i propri organi alla propria morte; un non pronunciamentoin merito, invece, verrebbe interpretato positivamente come un assenso.Alla domanda specifica, se sia o no favorevole alla norma detta del "silenzio- assenso", (approvata il 30 novembre 1995 al Senato), la quale permetteil prelievo di organi in caso di decesso, ove non sia stato espresso invita il proprio dissenso, il 65,41% degli intervistati risponde in modoaffermativo, mentre più di un quarto (26,49%) si dice decisamentecontrario; un 6,22% non sa o non vuole esprimersi.

Di fatto, la legge relativa al "silenzio-assenso", approvataal Senato, è ancora oggi giacente in attesa d'approvazione dellaCamera dei Deputati; ma, molti qualificati operatori nel settore segnalanogià da tempo, che ad ostacolare l'effettuazione dei trapianti nonè tanto la mancanza di generosità degli italiani, che opportunamentesollecitati rispondono invece positivamente, quanto "tutte le numerosedifficoltà a livello organizzativo che costituiscono ancora causamanifesta di mancato utilizzo di organi potenzialmente disponibili per lasalvezza di una vita umana", vale a dire strutture ospedaliere (es.Centri di rianimazione, adeguatamente attrezzati con strumenti e macchinariper l'accertamento di morte, la segnalazione del donatore, il mantenimentodi una normale funzionalità degli organi), appositamente qualificatee meglio distribuite sul territorio, operatori tecnici e collegi medicirealmente preparati e deputati a tali interventi di emergenza; compresauna nuova figura professionale, la cui necessità viene delineandosia livello di grandi aziende ospedaliere, di quel collettore di istanze ecoordinatore di soluzioni che renda praticamente possibile, nei tempi strettiche tali interventi richiedono, il prelievo di organi ed il loro successivoreimpianto, su tutto il territorio nazionale. Tali esigenze non vengonodiminuite ma accresciute da quelle, che per ora sono ipotesi in fase distudio e sperimentazione, ma che saranno accessibili forse in tempi piùbrevi del previsto: come la donazione da vivente a vivente (di rene, o partedi fegato, come realizzato per la prima volta in Italia nell'ottobre 1997);o l'utilizzo di organi transgenici di animali (ottenuti, com'è noto,attraverso la manipolazione genetica del maiale, per esempio, per renderel'organo più simile biologicamente a quello umano ed evitare cosìil rigetto). Questione molto più delicata dal punto di vista bioetico,ed anche da quello scientifico, presenta la creazione di organi umani tramiteclonazione e manipolazione genetica interspecie o senza un sistema nervoso.

 

Se l'assenso personale è sacro, a volte il perseguimento di un"consenso informato" ad ogni costo può presentare dei problemi(di ordine psicologico, medico e pratico) a carico dello stesso pazienteinteressato. Il grado di recezione di questo aspetto, è stato sondatoformulando la seguente domanda: è stata presentata una propostadi legge (comma in aggiunta all'articolo 5 del codice civile), per cui "Nessunintervento concernente la salute dell'individuo può essere effettuatosenza una dichiarazione di consenso liberamente espresso dall'interessato".Giudica questa proposta valida dal punto di vista del totale rispetto delpaziente e fattibile sul piano pratico?

Le risposte si articolano in due alternative, circa la "validità",sul piano teorico e la "fattibilità" sul piano praticodi una simile iniziativa.

Sul piano teorico, la richiesta di un consenso liberamente espresso dalpaziente interessato su ogni intervento che lo riguardi, appare aprima vista senz'altro valida, specialmente in tempi in cui, per vari motivi,parallelamente ai progressi della scienza medica si va indebolendo il presuppostodi un mandato assistenziale fiduciario senza riserve. Ed in effetti circail 70% degli intervistati risponde affermativamente circa la validitàdi una tale proposta.

Ma scendendo all'atto pratico, molti sono i problemi che in dettagliosi oppongono a una simile risoluzione: si nota in effetti che la percentualedei "sì" circa la sua fattibilità, cala notevolmente(45%), segno dell'avvertenza del problema da parte dei ricercatori, deiquali solo il 26% rispondono "sì", mentre il 30% evitadi rispondere, ammettendo implicitamente di non aver riflettuto abbastanzaal problema.

Il che significa che la proposta viene giudicata opportuna a livelloteorico, ma molto meno sul piano pratico: sì al rispetto della libertàpersonale, quindi, ma con molte riserve quando può ritorcersi control'interessato. Certamente, di fatto, il rapporto medico-paziente non èmai su un piano di parità assoluta: non solo perché il medicopossiede competenze scientifiche e linguaggio tecnico cui non è sempliceper il malato adeguarsi (si pensi solo ai cittadini di lingua straniera),ma perché il paziente versa in condizioni fisiche e psicologicheche limitano nei fatti la sua libertà di esprimere assenso. Se sivuole a tutti i costi, come di fatto avviene negli ospedali americani perquestioni di assicurazione medica, ricercare il consenso scritto dell'interessatoprima di qualsiasi intervento (e in quelli di urgenza: è sempre necessarioil consenso di parenti o rappresentanti legali?): ciò non significaderesponsabilizzare il medico, circa la scelta dell'intervento piùadeguato al caso e le conseguenze che questa informazione può avere?Con quale vantaggio reale, per il malato? Pensiamo al caso in cui una diagnosiinfausta spinga un paziente più debole psicologicamente a risoluzioniestreme, o semplicemente lo privi delle energie psichiche necessarie percollaborare alla riuscita delle cure. Sono considerazioni come queste, chehanno indotto il Judicial Council dell'American Medical Associationad aggiungere nel 1984 alcune postille, alla revisione dei Principlesavvenuta nel 1981: postille sul dovere della riservatezza (AMA 1984,19) con eccezioni riguardo al benessere dell'individuo e della società(AMA 1984, 26), e sulle riserve circa il diritto al consenso informatocome "controindicato", quando esso costituisca "una seriaminaccia psicologica a detrimento del paziente (AMA, 1984, 30). Lavecchia nozione ippocratica che l'informazione può essere "medicalmentecontroindicata" quando potrebbe sconvolgere il paziente, riprende laprecedenza ancora una volta sulla nozione filosofica più liberaldel rispetto per l'autonomia individuale del paziente", Ciònaturalmente non per garantire il potere, quand'anche di tipo paternalistico,del medico, che è sempre tenuto a fornire un'adeguata informazione;ma perché l'esperienza ha insegnato che non si aiuta né situtela meglio il paziente (anche nei riguardi dei contratti assicurativi),accollandogli una responsabilità di cui il medico non puòe non deve privarsi (per mettersi al sicuro da possibili conseguenze legali),e di cui lo stesso malato spesso si attende che egli si faccia carico, anchecome garanzia che i propri interessi non vengano fagocitati dagli obiettivicollettivi del sistema sanitario. La Guida europea (Goodlines for ClinicalPractice, 1990) richiede il consenso scritto quando gli atti proposticomportino un rischio serio.

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Screenings

 

Per finire, è stata posta ai ricercatori del Cnr una domanda cheriguarda gli scenari del prossimo futuro della medicina, sul piano non solosanitario ma sociale. Ci riferiamo ai vagli a tappeto di informazioni sanitarieriservate (screenings), ritenuti da alcuni necessari (per esempio,per alcune categorie a rischio: carcerati, soldati, tossicodipendenti, operatorisanitari), per arginare il diffondersi di malattie infettive come l'aids.Ma pensiamo anche alle sempre nuove possibilità offerte dai testgenetici, per conoscere l'effettivo stato di salute, cioè la possibileinsorgenza nel futuro di infermità latenti. È stato quindichiesto: per prevedere l'insorgenza di alcune malattie prima di qualsiasisintomo, sono oggi disponibili dei test, il cui risultato potrebbe indurrealla discriminazione sociale di soggetti con una particolare costituzionegenetica. È opportuna una regolamentazione in tale settore?Il 76,49% risponde di sì, il 10,27% di no, il solito 10% non si espone.Il parere espresso dalla stragrande maggioranza, in questo caso, sembravolto più a tutelare il diritto a non subire alcun tipo di discriminazioneindividuale, che non ad evidenziare la reale necessità di una regolamentazione;la quale presenta risvolti pratici, scientifici e giuridici, tali da escludernel'immediata attuazione. Certamente, "anche l'utilizzo strettamentescientifico di questi dati deve rispettare i principi di autonomia e riservatezza:le informazioni genetiche personali potranno essere rese pubbliche soloin seguito al consenso informato delle persone interessate. L'uso di taliinformazioni deve rispettare sia i principi sopraesposti che la volontàdel soggetto interessato, in particolare qualora queste informazioni possanoin qualche modo condizionare le scelte che riguardano in primo luogo l'individuostesso, come l'accesso a posti di lavoro e a polizze assicurative".

Le informazioni genetiche di carattere personale dovrebbero essere raccoltesolo con il consenso informato delle persone interessate; cui compete peròanche il "diritto di non sapere". Nel caso di minori o incompetentpatient, si pone il problema della delega al consenso informato, seva strutturata per legge (un ragazzo di sedici anni, va informato?).

Di contro esiste una impostazione in base alla quale si ipotizzano, peresempio, non solo come leciti ma giusti gli screenings generalizzati,anche ad insaputa dei soggetti interessati e ove non sia disponibile untrattamento terapeutico di una malattia genetica diagnosticabile, per esempionel caso di embrioni fertilizzati in vitro: "Dove esiste un'assicurazionesanitaria nazionale, la società e forse anche il governo potrebberoperò esercitare pressioni al fine di non avere bambini affetti damalattie lunghe e costose (...) Sono stati individuati dei geni fantasiosamentedefiniti già come "il gene dell'omosessualità","il gene della violenza" o "il gene dell'alcolismo".Si dovrà "sistemarli" tutti?".

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Note riassuntive

 

Emerge in primo luogo un risultato significativo: pressoché tuttii ricercatori del Cnr che svolgono attività attinenti all'ambitobioetico, almeno qualche voltasi sono imbattuti, nel corso del loro lavoro,in problemi di natura etica.

I dati raccolti, se da una parte accertano una vera sensibilitàetica tra gli operatori, nel campo della ricerca scientifica, dall'altraregistrano la sentita necessità di counseling o di una regolamentazioneche ne agevoli lo svolgimento. A questo dato non sembra corrispondere, tuttavia,il desiderio di deferire in toto la responsabilità della decisionead una soluzione etica fornita da "esperti";

Sicuramente affiora la difficoltà ad affrontare, senza una formazioneprofessionale adeguata in ambito filosofico-giuridico ed in una societàcosì variegata e complessa, i problemi etici emergenti dall'eserciziodelle tecnologie scientifiche, sia nel campo della medicina che della ricerca.

Da ricordare a tal proposito un principio fondamentale statuito nellarecente "Convenzione di bioetica" europea: vale a dire che "l'eserciziodella ricerca scientifica biologica e medica non è arbitrario, madeve svolgersi secondo le disposizioni della Convenzione e le altre normegiuridiche che proteggono l'essere umano".

Una ulteriore conferma proviene dall'opinione espressa circa l'effettivautilità dei Comitati Etici, che sono ritenuti efficaci da un 56%dei ricerctori intervistati (un 27% non sa esprimersi in proposito, mentremeno del 15% non li ritiene un sistema di regolamentazione valido).

Circa la delicata questione su "cosa si intende per bioetica",dai più (74%) viene ritenuta adeguata la definizione: "Labioetica è lo studio sistematico delle dimensioni morali - comprendentila visione morale, le decisioni, la condotta, le politiche - delle scienzedella vita e della cura della salute, attraverso una varietà di metodologieetiche in un contesto interdisciplinare", data nel 1995 dall'Encyclopediaof Bioethics; ma é importante anche quel 18% che la ritiene insufficiente.

Certo , non si è ancora raggiunta una piena maturità divisione di "che cos'è la bioetica"; infatti, alla richiestase vedano "una sostanziale differenza tra bioetica, deontologiaed etica scientifica", i pareri dei ricercatori si oppongono equamente:una buona metà (49,73%) riconosce una netta distinzione, mentre glialtri (43%) si tratta di codici di comportamento che sostanzialmente siequivalgono. Della bioetica come materia il ricercatore ha quindi conoscenzae stima, ma la vede piuttosto finalizzata ad ambiti precisi; per esempio,alla domanda se "appartiene ai compiti della bioetica indicare deifini alla ricerca scientifica (es.: soluzione del problema della fame nelmondo, guarigione di malattie rare), un buon 50% risponde negativamente;ma è anche significativo quel 30% abbondante che risponde di sì,affermando implicitamente che la bioetica ha da essere una impostazionemorale in senso lato, applicata a tutti i problemi di alto profilodella vita sul pianeta. Non si tratta di dare a ricerca e tecnica dei finidiversi da quelli propri - operazione destinata al fallimento, quand'ancheci si impegnasse lo Stato con tutto il peso del suo potere - ma di inserirlein un quadro di finalità più vasto e lungimirante. Una ulterioreconferma in proposito proviene da una questione ancor più specifica:la distribuzione delle risorse scientifiche tra i Paesi più sviluppatie quelli in via di sviluppo, è un problema che riguarda labioetica? La maggioranza dei ricercatori a questo punto pare inalberarsie risponde di "no" (62,71); il resto però (34,05), generosamenterisponde "sì".

La ricerca insomma si auspica "pura", ma se viene ritenutainaccettabile una diretta influenza del fattore economico sulle scelte delricercatore, altrettanto spesso viene ritenuto inevitabile il contrario:che sia l'interesse di chi la finanzia a fungere da propulsore alla ricerca,e gli eventuali problemi etici vadano risolti "in un secondo tempo".Secondo alcuni, tale meccanismo sarebbe del tutto lecito nell'ambito dellaricerca privata (industrie farmaceutiche, fondazioni, istituti di ricercaautonomi); mentre spetterebbe alla ricerca pubblica finanziare un tipo diricerca con ricadute meno immediate a breve scadenza, ma di più altoprofilo e di importanza prevista a lungo termine. Che tali questioni nonsiano di facile soluzione, comunque, lo testimonia quel 12% che "nonsa" pronunciarsi in proposito, percentuale che, andando a guardare,é una costante quasi fissa in tutte le risposte.

Evidentemente, una grande influenza sulla cultura europea ha l'impostazioneanglosassone di tradizione empirica: la quale, come é noto, negala possibilità di passare da un fondamento reale ad una norma oggettivadell'agire: benché si finisca, così, col negare la stessabio-etica, togliendone il fondamento come lo scopo principale. Atal proposito, é da rimarcare invece il fatto, che più del70% dei ricercatori del Cnr, ritiene opportuno che il dibattito su temidi bioetica finisca col confluire in un ambito regolativo, anzi normativo.Un responso sorprendente da parte di operatori nel settore della ricercascientifica, che un luogo comune vorrebbe più interessati ad unaderegulation a favore del massimo arbitrio riguardo l'oggetto edi mezzi della ricerca. Chiedendo però in modo esplicito al ricercatore,se ritiene che una situazione di "deregulation", in materiadi bioetica, favorisca la ricerca scientifica e la prassi medica, lamaggior parte di essi (63%) si dice convinta del contrario. Di fatto ilvalore e la validità scientifica degli studi sperimentali, sono perlo più garantiti da una serie di regole, come pure la strutturazionedel protocollo di sperimentazione sottostà a precisi aspetti regolatori,accertati anche dalle procedure operative dei Comitati Etici. Come anche,di fatto, esistono zona d'ombra in cui la sperimentazione (per es. su embrionie feti umani), in mancanza di regole ha toccato punte inaccettabili.

Ma della diffidenza che la bioetica suscita in molti ambienti, non èdifficile trovare addirittura una conferma di tipo semantico: recentementesi è cominciato a prediligere al suo posto il termine bio-medica.La competenza tornerebbe insomma agli esperti del settore delle scienzesperimentali (biologi, medici, etc.), mentre al vecchio paternalismo medicoverrebbe a sostituirsi un nuovo paternalismo politico-scientifico, in cuila scienza in un primo momento di nuovo "diventa una sorgente ed unarbitro di sistemi, di valori e di convinzioni al più alto livello";in seconda battuta, poi, verrebbe assunta come "sistema sociale dinamico"tra i più potenti. In conseguenza di ciò, a scienziati e mediciopportunamente supportati da "eticisti" spetterebbero, sotto formaanzi di "dovere", alcune competenze fondamentali (come quelladi far nascere solo "bambini perfetti"). C'è anche chisostiene che "mettere a confronto il puro filosofo con il puro ricercatore-biologo,significa aumentare la confusione e l'incomprensione, favorire la conflittualità:cioè, fare della "bio-etica", aggrava i problemi senzacontribuire in qualche modo a risolverli".

Di una posizione di questo genere, vanno rilevate alcune giuste istanze:come quella di una bioetica che pervenga a dare un vero contributo operativoe giuridico, non si riduca ad una "storia infinita" di questionimorali e non dipenda dal mutare storico-concettuale delle varie etiche.D'altra parte ne vanno rilevate le incongruenze: la stessa deontologia nonpuò dipendere nei suoi fondamenti dall'oscillare dei principi chereggono le varie strutture socio-culturali, come sostiene una certa impostazionesociologica della morale. In conclusione: se non si vuol dar luogo ad unacontrapposizione tra l'elaborazione di dottrine morali applicate, come labioetica, ed i valori e principi ispiratori della nostra Costituzione, dellanostra cultura e del vivere sociale, occorre dar spazio proprio a quellariflessione morale di livello teoretico, che interpreta e dà vocealle diverse impostazioni culturali, che si fronteggiano all'interno diuna società pluralista. Data la complessità sia qualitativache quantitativa delle questioni etiche, relative alla pratica della medicina,a ricerca e sperimentazione, alla distribuzione delle risorse sanitarie,appare ovvio che nessuna branca del sapere o della prassi può responsabilmentepensare di gestire, solo con i suoi strumenti, i nodi continuamente emergentiin campo biomedico, scientifico e legislativo: magari ostinandosi a considerareil riferimento alla Bioetica inutile e pericoloso, anche "banale".

Tali posizioni derivano al loro fondo dalla deprecata mancanza di coesionetra scienze fisiche e scienze umanistiche, in buona sostanza, proprio dallanon adeguata conoscenza della natura del soggetto della scelta morale, cioèdella natura dell'uomo. Il suo studio dovrebbe logicamente precedere, inambito etico e bioetico, quello sull'oggetto sempre vario delle scelte morali.Non si tratta di individuare "la parte più nobile", "lasede della personalità individuale" nella mente (anche se cometutti sanno è il cervello che, biologicamente, presiede a tutte lefunzioni e le coordina): quel che si deve prendere in esame non èsempicemente "l'uomo della filosofia" ma l'uomo concreto e reale,il soggetto individuale vivente, soggetto "animale" ma intellettivo(dotato, per sua natura, di intelletto), quel tutt'uno che è la persona,il soggetto della medicina: nel prendersene cura, anche il nuovo indirizzosanitario va sempre più preoccupandosi non soltanto della patologiao dei singoli organi malati, ma del malato. Si tratta piuttosto di riconoscere,che senza il libero e responsabile esercizio dell'intelligenza personale,attuato attraverso i sensi ("l'animalità" chiamata da Rosmini"atto di sapienza divina"), è pressoché impossibileall'uomo quel reale "potenziamento di sé", che gli permettedi adempiere al suo dovere: di essere veramente "umano". Èun'attenta osservazione e valutazione della natura umana, quindi, che permettedi accertare che l'essere umano non consiste unicamente o principalmentenel conformarsi alla ragione come oculata calcolatrice e che la felicitàdell'uomo non necessariamente contrappone piacere e virtù, impegnoscientifico ed impegno morale.

Scendendo su un piano concreto, una domanda importante da farsi é:a chi compete l'indagine sulle "prospettive concrete aperte dallescienze della vita" nonché l'elaborazione di proposte normativea riguardo? Nel rispondere, i ricercatori tagliano la testa al toro:trapolitici e legislatori (20,27) o professionisti dell'ambitoscientifico e medico (28,65), giuristi (21,08) o filosofi(5,95), eteologi (5,95), la stragrande maggioranza degli intervistatisceglie l'alternativa: la competenza spetta a gli stessi in collaborazione(72,43). Ci si richiama apertamente, dunque, a quel grado di unitàmorale, giuridica e politica (che a sua volta si appella alla dignitàstessa dell'essere umano), la quale non solo è indispensabile a fareuna Nazione, di un popolo entro i confini di uno Stato; ma è anche"necessariamente presupposta da qualunque pluralismo delle scelte pubblicamentevalutabili". Anche per quest'ordine di motivi, forse, da piùparti viene ritenuta negativa la vacatio legis in materia di bioetica,per la quale l'Italia continua a distinguersi rispetto agli altri Paesieuropei.

Ma quali sono, in termini di legge, gli ambiti più urgentida regolamentare per i ricercatori del Cnr? Al primo posto in assolutosta la sperimentazione su embrioni e feti, al secondo la cosiddetta "ingegneriagenetica". Oggi in effetti la ricerca scientifica in ambito biomedicopunta molto più sulla terapia genica (che può essere germinaleo somatica) e specialmente sul "progetto genoma umano", quel titanicosforzo di conoscenza dei meccanismi genetici che regolano i fenomeni vitali,per eventualmente modificarli, che ha fatto diventare la biologia una bigscience. In stretta relazione, lo stesso destino pare riservato allabioetica,in quanto solo una continua stringente riflessione etica, affidatain grande misura alla responsabilità dei ricercatori, potràgarantire che le nuove conoscenze non siano piegate ad usi distorti delleloro applicazioni: che aprano la strada, sul piano delle differenze genetiche,a discriminazioni ed ineguaglianze ingiustificate sia a livello individualeche di intere popolazioni, al monopolio commerciale dell'utilizzo delleconoscenze scientifiche, e ad altri rischi di specifiche applicazioni delleconoscenze relative al genoma umano. Basti pensare al divario tra la diagnosidi una malattia genetica ed il trattamento terapeutico, non sempre disponibile:iato che, destinato com'è ad aumentare proprio in seguito al "progettogenoma umano", può dar luogo a prassi comuni di spietata eugenetica;tale rischio sembra presente alla sensibilità del ricercatore, chesegnala anche la diagnostica pre/post natale tra gli ambiti urgentida regolamentare. In caso contrario, "una terribile e pervasiva ideadi normalità si accamperebbe così nelle nostre organizzazionisociali".

Al primo posto, come si è detto, per più del 70% (71,08)degli intervistati, c'è la sperimentazione su embrioni e fetiumani; e quindi (63%) la cosiddetta ingegneria genetica (47%);seguono, come ambiti da regolamentare, la regolamentazione dei limitialla produzione di nuovi "tipi" di animali, la sicurezzadelle biotecnologie (38%), la gestione ambientale (37%) e lariproduzione assistita (36%). Una scarsa sensibilità a frontedella reale necessità si registra, purtroppo, sul fronte dei trapiantid'organo (20%), problema considerato lievemente inferiore, come urgenzadi regolamentazione, a problemi come quello della allocazione delle risorse(21,62%) o della diagnostica pre/post natale (21,35).

Quel che si evince chiaramente, è una forte sensibilitàinnanzi tutto circa l'urgenza di una regolamentazione riguardante le questioniconnesse all'inizio della vita umana, e poi animale, vegetale ed ambientale.Ad essa corrisponde ovviamente tra i ricercatori un certo realismo, circal'utilizzazione dell'animale nell'ambito della ricerca scientifica; alladomanda se si possa ritenere eticamente accettabile immettere in commerciofarmaci e composti chimici, non studiati preventivamente su animali da laboratorio,risponde di "no" il 65,41%; per il "sì" (decisamente"animalista") è invece un 12% (11,62), un 20% (19,46) affermadi non saperlo. Chi è del ramo, sa che la sperimentazione animalein campo biomedico costituisce tuttora, come è ampiamente documentato,"un supporto fondamentale per il progresso delle conoscenze, contribuiscea trovare rimedi per patologie ancora incurabili che affliggono il genereumano e gli animali (...) e, in questo senso, sarebbe anti etico aboliretale sperimentazione".

I ricercatori del Cnr sembrano molto informati e consapevoli anche riguardoappunto la terapia genica su cellule somatiche (il trasferimento cioèdi un gene sano in cellule prelevate da un individuo con geni difettosie successivo reimpianto delle cellule manipolate), metodologia che puòconsentire di correggere alcune malattie genetiche. Alla domanda piùsemplice, se ritiene che questo tipo di terapia ponga problemi etici,diversi da quelli di una terapia farmacologica, il 56,2% risponde dino; problemi etici si pongono, invece, per il 25,9 degli intervistati. Talipercentuali cambiano in risposta ad una questione più delicata, riguardantecioè il trasferimento di un gene su cellule della linea germinaleumana, tecnica che potrebbe consentire di prevenire gravi difettigenetici nell'individuo che nascerà: in questo caso però ilpatrimonio genetico manipolato verrà trasmesso alle future generazioni.Tale procedura comporta problemi etici per il 58,7%, non ne comporta affattoper il 25,1% dei rispondenti. Un dato significativo che si evince dallanostra indagine, risulta il deciso "no" (70,8%) alla liceitàdi un "brevetto" delle cellule umane germinali, cui corrispondeun "no" (66,8%) al brevetto di nuovi geni ,il "no" (64,6%)al brevetto di cellule somatiche ed il "no" anche al brevettodi nuove sequenze nucleotidiche (63,8%). Nei riguardi di nuovi tipi di animalipiù della metà dei ricercatori (53,2) ritiene invece che debbaessere ritenuto illecito stabilire un "brevetto", mentre lo ritienelecito un buon terzo dei ricercatori (30,8%). Tali indicazioni sembranoandare nel senso, di porre precise limitazioni alla portata della protezionebrevettuale di invenzioni riguardanti organismi viventi superiori, ma senzaescluderla del tutto, sia per tutelare valori di grande rilievo socialeche per salvaguardare la circolazione libera delle invenzioni e dei loroprodotti.

Quanto ad un tema di estrema attualità oggi in Italia, quellodella procreazione assistita, una questione apparirebbe di interesse economicopiù che strettamente etico, se il problema delle allocazione dellerisorse nel campo della Sanità pubblica non fosse diventato, a suavolta, un problema di ordine drammaticamente etico (la relativa scarsitàdelle risorse, costringe a precise scelte di strategia sanitaria, anchein termini aziendali). La domanda é: la sterilità e l'infertilità:debbono venire equiparate ad altre patologie e, quindi, le terapie diriproduzione assistita devono essere poste a carico del Servizio Sanitarionazionale? Un netto 50% risponde di no, cosciente forse del fatto appuratoche molte volte sterilità (maschile) ed infertilità (femminile)non sono causate da patologie specifiche, ma da cause indefinibili. C'èperò un 33,33% che si dichiara a favore della messa a carico delloStato delle tecniche sanitarie a favore della riproduzione umana, mentreun 16,22 non sa pronunciarsi sulla difficoltà dell'alternativa. Ladirezione in cui pare incanalarsi la nuova legge sulla riproduzione assistitaè quella dell'indirizzo sociale, vale a dire di rendere completamenterimborsabili gli interventi a favore della procreazione assistita; la ragioneè quella di consentire di avere un figlio a chi ne è impedito,da cause anche naturali e non patologiche, e non dispone dei mezzi necessariper pagare i rilevanti costi dell'assistenza di ordine medico. Certo l'onerefinanziario per lo Stato non sarà indifferente e dovranno esserepredisposte una serie di regole per impedire ogni genere di abusi. L'opinionegenerale (62,70%) degli addetti alla ricerca del Cnr, è che comunquela riproduzione assistita non può essere ammessa in tuttii casi; un 16,49% è invece fautore del "diritto al figlio"ad ogni costo, mentre non é casuale che un 18,11% preferisca nonpronunciarsi. Come tutti sanno, infatti, i problemi si acuiscono se subentraun tertium datur estraneo alla coppia genitoriale, nel caso cioèdella fecondazione eterologa: alla luce per esempio delle recenti acquisizionisui test genetici, si può garantire la "salute" anche psichicadel donatore di un patrimonio genetico, senza accertamenti clinici specifici?O sarà l'eugenetica chiamata a risolvere ogni problema, con lo scartodel prodotto (del concepimento) difettoso?

Un punto di vista scientifico esige di fondare ogni valutazione, specialmentequelle di ordine giuridico, su tali aspetti concreti, piuttosto che su quelliastratti, o estremamente pratici, come quelli economici: tutte considerazioniche, tutto sommato, sembrano vedere nella fecondazione eterologa la possibilitàper il potere giuridico istituzionale di sancire la sua supremazia sull'eticae sulla scienza, come sul pubblico dissenso; per la tecnologia medica lapossibilità di espandersi anche economicamente senza responsabilitàdi nessun genere, e per il relativismo etico di veder sancito il proprioprimato: restando tuttavia inevase le possibilità di certezza sullecondizioni di salute, a cominciare dai punti di vista genetico e psicologico,del bambino nato da fecondazione in vitro eterologa. Non esistono infattiindagini né studi ad ampio raggio in corso, sugli effetti biologicie psicologici a distanza, ma solo un atteggiamento, tutt'altro che scientifico,di generico ottimismo. Mentre invece, se di una cosa sono assolutamentecerti i ricercatori del Cnr (al 92,97%), è che la pratica dellariproduzione assistita deve tutelare i diritti del nascituro.

Quanto ai delicati problemi di bioetica relativi alle fasi terminalidella vita umana, si è cercato di appurare prima di tutto il gradodi conoscenza su questioni e termini linguistici, sui quali in genere nonè difficile ricevere informazioni inesatte. Cosa si intende, peresempio, per "morte cerebrale"?...A norma di legge, si intendeuno stato accertato di: elettroencefalogramma piatto, rispondonoi più (76,49%). Solo un 7,3% invece intende per "morte cerebrale"lo stato vegetativo persistente (pvs), che è piuttostola "morte corticale", condizione clinicamente definita dalla "necrosidella sola area corticale del sistema nervoso centrale, pur rimanendo integree funzionanti le strutture troncoencefaliche". Tale percentuale potrebberispecchiare, più che una mancanza di informazione, una determinataopinione secondo la quale la dichiarazione di morte verrebbe giustificatadalla presunta impossibilità di recuperare una sufficiente vita direlazione, una accettabile "qualità di vita". Alcuni sidomandano se il mantenimento in vita di pazienti in stato vegetativo persistente(pvs), può essere considerato come accanimento terapeutico, ed èquindi giustificato ricorrere alla "eutanasia passiva". In camposcientifico e di politiche sanitarie, in America ma anche in Europa, vamanifestandosi un orientamento in questa direzione, "considerando cheil prestare assistenza sanitaria ai pazienti tanto da guarire quanto terminalinell'ambito di un medesimo istituto ospedaliero comporta un sovraccaricosanitario, psichico e morale per i medici, i paramedici, i pazienti e iloro familiari". In Italia "la situazione appare ancora poco definita".

Alla domanda cosa intende per "eutanasia", (che puòessere letta in modo ambivalente: la definizione, o quello che si vorrebbe),un 41,62% si esprime secondo la definizione canonica: un'azione o un'omissioneche di sua natura o nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminareogni dolore allo stadio terminale di una malattia; per una percentualesimile (39,73%) si tratta della possibilità per un paziente congravi sofferenze fisiche di darsi la morte, essendo medicalmente assistito,caso in cui sarebbe più esatto chiamarlo: "suicidio razionaleassistito".

A conferma della vasta eco che il tema dell'eutanasia riscuote nell'immaginariocollettivo: dato che non vi è alcuna proposta di legge in materiadi eutanasia (salvo naturalmente la legge che la vieta), vi èun vasta maggioranza (72,43%) che riterrebbe invece opportuna una legislazionein merito; un 12% invece non vede questa necessità, o forse valutai possibili risvolti negativi a livello della sicurezza personale, di nuovenormative più "aperte". La richiesta di una legislazionepiù specifica sull'eutanasia, esprime certo un'esigenza particolarmentesentita ai giorni nostri, dati i progressi della medicina relativi all'accertamentodi morte, all'animazione artificiale ed al consenso informato; puòsenz'altro manifestare un disagio inespresso, perché nel caso chel'intangibilità della vita umana non sia più un principioindiscusso, inevitabilmente si indebolisce (a livello morale e quindi disicurezza sociale diffusa), "l'obbligo di garanzia" che derivaal medico dalla sua specifica professione: senza certezza di diritto penale,alcuni medici o paramedici potrebbero agire (praticando l'eutanasia passivain fase terminale o per favorire un trapianto), nella "tolleranza"dell'autorità giudiziaria. Un rapporto di fiducia fondato su unadifusa cultura dell'intangibilità della vita umana in qualsiasi condizione,quindi, oltre che una informazione adeguata, costituiscono probabilmentela migliore preparazione alla tanto auspicata "cultura della donazione"di organi, ancora piuttosto carente in Italia

Al "diritto all'informazione" dovrebbe corrispondere, naturalmente,un "dovere all'informazione esatta". Il problema resteràaperto ancora a lungo ed è, anche questo, uno dei fattori che pongonoin evidenza la necessità di una formazione culturale sistemicain ambito bioetico. I nostri intervistati, generalmente attingono le loroinformazioni di carattere bioetico attraverso la stampa (71%), e per unabuona metà (49,73%) attraverso radio e TV: anche personale specializzatocome i ricercatori Cnr, quindi, non hanno facilmente accesso a fonti scientificamentepiù attendibili e circostanziate. Quasi la metà però(42%), afferma di essersi informato tramite la consultazione di rivistescientifiche; un quarto circa dei ricercatori (24%) assume le sue informazioni"sul campo", direttamente cioè dall'ambiente di lavoro;significativo anche quel 10% che segue convegni o seminari di Bioetica,mentre è solo il 2% che attinge le sue informazioni in modo specialistico,da basi di dati specializzate (2,43%) o corsi di bioetica (2,16%); un 7%infine assume informazioni in modo del tutto autonomo.

Un'informazione scientifica, precisa quanto chiara a livello divulgativo,potrebbe rappresentare quindi un groso passo avanti verso la spontanea donazionedi organi; ma è altrettanto evidente che, se lo scopo è solidaristico,una cultura della solidarietà non si può imporre e tanto menoottenere per legge anzi da alcuni si teme possa essere soppiantata da una"cultura dell'esproprio", degli organi propri o dei congiunti,in caso di accertato decesso. A questo dilemma si è pensato di ovviarecon una proposta di legge detta del "silenzio-assenso", in basealla quale, dopo una massiccia campagna di informazione anche riguardo "l'assolutaattendibilità dei criteri di accertamento di morte", i cittadinimaggiorenni sarebbero chiamati ad esprimere apertamente (in modi accessibili)il loro dissenso dal mettere a disposizione i propri organi alla propriamorte; un non pronunciamento in merito, invece, verrebbe interpretato positivamentecome un assenso. Alla domanda specifica, se sia o no favorevole allanorma detta del "silenzio - assenso", (approvata il 30 novembre1995 al Senato), la quale permette il prelievo di organi in caso di decesso,ove non sia stato espresso in vita il proprio dissenso, il 65,41% degliintervistati risponde in modo affermativo, mentre più di un quarto(26,49%) si dice decisamente contrario.

Se l'assenso personale è sacro, a volte il perseguimento di un"consenso informato" ad ogni costo può presentare dei problemi(di ordine psicologico, medico e pratico) a carico dello stesso pazienteinteressato. Il grado di recezione di questo aspetto, è stato sondatoformulando la seguente domanda: è stata presentata una propostadi legge (comma in aggiunta all'articolo 5 del codice civile), per cui "Nessunintervento concernente la salute dell'individuo può essere effettuatosenza una dichiarazione di consenso liberamente espresso dall'interessato".Giudica questa proposta valida dal punto di vista del totale rispetto delpaziente e fattibile sul piano pratico?

Le risposte si articolano in due alternative, circa la "validità",sul piano teorico e la "fattibilità" sul piano praticodi una simile iniziativa. la proposta viene giudicata opportuna a livelloteorico, ma molto meno sul piano pratico: sì al rispetto della libertàpersonale, quindi, ma con molte riserve quando può ritorcersi control'interessato.

Infine, è stata posta ai ricercatori del Cnr una domanda che riguardagli scenari del prossimo futuro della medicina, sul piano non solo sanitarioma sociale. Ci riferiamo ai vagli a tappeto di informazioni sanitarie riservate(screenings). Il parere espresso dalla stragrande maggioranza, inquesto caso, sembra volto più a tutelare il diritto a non subirealcun tipo di discriminazione individuale, che non ad evidenziare la realenecessità di una regolamentazione; la quale presenta risvolti pratici,scientifici e giuridici, tali da escluderne l'immediata attuazione. Certamente,"anche l'utilizzo strettamente scientifico di questi dati deve rispettarei principi di autonomia e riservatezza: le informazioni genetiche personalipotranno essere rese pubbliche solo in seguito al consenso informato dellepersone interessate.

Cfr. Comitato Nazionale per la Bioetica, Informazione e consenso all'attomedico, 20 giugno 1992, pp. 3-65.

Indice

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FACSIMILE DEL QUESTIONARIOINVIATO A TUTTI I RICERCATORI CNR

Indagine sull'informazione relativa alla Bioetica

La preoccupazione inerente ad un sano pluralismo non può far passarein secondo piano gli sforzi per costruire una base comune di consenso enuove strategie di fronte alle questioni morali ed ai connessi risvoltieconomici e sociali riguardanti la ricerca scientifica, in particolare nell'ambitobiomedico ed ambientale.

Gli obiettivi della ricerca scientifica possono essere ridotti all'accrescimentodel potenziale tecnico-economico o politico-sociale? Lo sviluppo della ricercae l'impegno delle risorse scientifiche, comporta in ogni caso l'uso di mezzie metodi rispettosi di ogni uomo?

Nel campo della bioetica risulta troppo spesso silenziosa la comunitàscientifica; permane, in effetti, una visione che accentua più chealtro l'aspetto "passivo", di cose cioè da non fare,giustamente, a tutela dei diritti del soggetto coinvolto o delle garanziedi correttezza nelle sperimentazioni. Rimane in ombra, però, l'aspettoculturale, il fatto cioè che la qualificazione di una ricerca scientificapuò dipendere, al di là del prestigio scientifico e dellericadute economiche, dal suo impegno etico: per esempio, nell'individuarenuove risorse utili in ambito biologico, per ridurre l'improduttivitàin tante zone della Terra o per curare malattie molto rare.

Il questionario che qui si presenta, rivolto per ora a studiosi o ricercatoridel Cnr, si propone di accertare:

a) la presenza della bioetica come problema, nel loro ambito professionale;

b) l'idea prevalente su cosa sia o debba essere la bioetica;

c) il grado di informazione circa alcune proposte di legge di possibileattuazione in Italia e l'opinione su alcune specifiche questioni di bioetica.

La Commissione di studio sulla bioetica, che tra i suoi compiti annoveraquello di proporre iniziative Cnr nel settore, e l'Isrds si augurano lapiù ampia partecipazione a quest'indagine informativa, in modo dadare voce proprio a coloro che sono interessati più direttamente.

 

Si prega di inviare il questionario a:

Cnr - Commissione di studio sulla bioetica isrds, Dr. Rosalia Azzaro,Via Cesare De Lollis 12, 00185 - ROMA

facs: 06-4463836 E.mail:AZZARO@isrds.rm.cnr.it.

 

Indagine sull'informazione relativaalla Bioetica

 

QUESTIONARIO

& nbsp;

1 Nome della città in cui ha sede l'organo di ricerca incui lei lavora:

.......................................................

2 Indicare l'ambito di attività:

 

Codice Discipline

01 Scienze matematiche |__|

02 Scienze fisiche |__|

03 Scienze chimiche |__|

04 Scienze biologiche e mediche |__|

05 Scienze geologiche e minerali |__|

06 Scienze agrarie |__|

07 Scienze d'ingegneria e architettura |__|

08 Scienze storiche, filosofiche e

filologiche |__|

09 Scienze giuridiche e politiche |__|

10 Scienze economiche, sociologiche e

statistiche |__|

11 Ricerche tecnologiche e innovazione |__|

12 Scienza e tecnologia dell'informazione |__|

13 Scienze e tecnologie dell'ambiente |__|

14 Biotecnologie e biologia

molecolare |__|

15 Scienza e tecnologia dei beni culturali |__|

 

3 Argomento della ricerca scientifica di cui attualmente si occupa:

......................................................

 

4 Dati anagrafici:

a) Età anni |__|

b) Sesso |M| |F|

c) Stato civile .........................

d) Figli NO |__|

SI |__|

n° |__|

 

5 Professione dei genitori:

Indipendente Padre Madre

a) Imprenditore,

libero professionista |__| |__|

b) Altro |__| |__|

Dipendente

c) Dirigente, direttivo |__| |__|

d) Insegnante, ricercatore |__| |__|

e) Impiegato, intermedio |__| |__|

f) Altro (operaio, assimi-

lato, ecc.) |__| |__|

Nessuna posizione lavora-

tiva |__| |__|

 

6 Dati generali sui titoli di studio:

a) Laurea in

..............................................................

b) Sede dell'Università

............................................. .................

c) Data (anno)

............................................................. .

d) Votazione

.......................................................... ....

 

7 Possiede uno dei seguenti titoli di

studio conseguito:

all'Estero:

a) Bachelor (o equivalente) |__|

b) Master (o equivalente) |__|

c) Ph.D (o equivalente) |__|

d) Altro titolo (specificare)

................................................... |__|

in Italia:

a) Dottorato di ricerca |__|

b) Corso di perfezionamento |__|

c) Scuola di specializzazione |__|

d) Altro titolo (specificare)

.................................................. |__|

 

8 Nella sua esperienza professionale, si è mai posta laquestione se dover andare avanti o meno in una procedura, per motivi etici?

 

Spesso |__|

Qualche volta |__|

Mai |__|

 

9 Ha mai avuto la necessità, nell'ambito del suo lavoro,di un Organismo (Comitato Etico) di consultazione o approvazione, su questionidi bioetica?

 

 

 

Spesso |__|

Qualche volta |__|

Mai |__|

 

10 Da quali canali ha attinto le sue attuali informazioni circala bioetica?

 

Corsi di bioetica |__|

Riviste scientifiche |__|

Convegni, Seminari |__|

Ambiente di lavoro |__|

Basi di dati specializzate |__|

Stampa |__|

Radio, TV |__|

Altro................................. |__|

 

11 Lei si rifiuterebbe - per motivi strettamente etici - di seguireuna prassi scientifica o un comportamento professionale pur adottati daaltri?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

12 La presenza attiva di Comitati Etici -locali o istituzionali-può costituire un sistema di regolamentazione efficace, riguardol'applicazione di principi morali alla ricerca scientifica ed alla sperimentazioneclinica??

 

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

13 Ritiene utili i Comitati Etici anche per garantire la tuteladell'animale su cui avviene la sperimentazione e la validità scientificadella ricerca in atto?

 

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

14 "La bioetica è lo studio sistematico delle dimensionimorali - comprendenti la visione morale, le decisioni, la condotta, le politiche- delle scienze della vita e della cura della salute, attraverso una varietàdi metodologie etiche in un contesto interdisciplinare", Encyclopediaof Bioethics, 1995.

Ritiene adeguata questa definizione?

Si |__|

N o |__|

Motivare....................................

.

15 A suo avviso, c'è una sostanziale differenza tra bioetica,deontologia ed etica scientifica?

 

Si |__|

No |__

Motivare.......................................

 

16 Appartiene ai compiti della bioetica indicare dei fini (es.:soluzione del problema della fame nel mondo, guarigione di malattie rare)alla ricerca scientifica?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

17 La distribuzione delle risorse scientifiche tra i Paesi piùsviluppati e quelli in via di sviluppo, é un problema che riguardala bioetica?

Si |__|

No |__|

 

18 Il dibattito bioetico deve confluire in un ambito normativo(regulatory) o dare soltanto luogo a confronto (advisal) escambio tra prospettive differenti?

contributo normativo |__|

confronto e scambio |__|

ambedue |__|

altro ..........................................

 

19 E' accettabile che l'influenza del fattore economico (esempio:committente che finanzia la ricerca; ricaduta in termini di guadagno) determinidi fatto le scelte del ricercatore, anche in ambiti che coinvolgono problemietici?

Si |__|

No |__|

 

20 Ritiene che sia un problema anche etico, quello dell'allocazionedelle risorse fra vari settori scientifici?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

21 Le diverse ideologie hanno un'influenza sull'elaborazione diteorie etiche e sui relativi orientamenti giuridici?

notevole |__|

relativa |__|

nulla |__|

 

22 E' a conoscenza del fatto che in data 28/6/1995 era stata istituitauna Commissione parlamentare d'inchiesta sulla bioetica, compostada parlamentari e senatori?

Si |__|

No |__|

 

23 Ritiene che l'indagine sulle "prospettive concrete apertedalle scienze della vita"(decreto d'istituzione della Commissioneparlamentare sulla bioetica), nonché l'elaborazione di propostenormative a riguardo, siano di competenza di:

Politici e legislatori |__|

Professionisti dell'ambito

scientifico e medico |__|

Giuristi

Specialisti di bioetica |__|

Filosofi |__|

Teologi |__|

Gli stessi in collaborazione |__|

 

24 Ritiene che una situazione di deregulation, in materiadi bioetica, favorisca la ricerca scientifica e la prassi medica?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

25 Una pratica ritenuta eticamente riprovevole, può essereaccettata come lecita dall'ordinamento giuridico ai fini dell'utilitàgenerale e del progresso scientifico?

Si |__|

No |__|

Forse |__|

Non so |__|

Altro...........................................

 

26 Quali ambiti ritiene più urgenti da regolamentare?

allocazione risorse |__|

Comitati Etici |__|

diagnostica pre/post-natale |__|

gestione ambientale |__|

"ingegneria genetica" |__|

limiti alla produzione di

nuovi "tipi" di animali |__|

riproduzione assistita |__|

sicurezza biotecnologie |__|

sperimentazione embrioni e

feti umani |__|

trapianti |__|

altro

 

27 Quali, in ordine di priorità?

................................................... .

....................................................

..... ...............................................

.................... ............................................................................ ........

 

28 Ritiene eticamente accettabile immettere in commercio farmacie composti chimici, non studiati preventivamente su animali da laboratorio?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

29 La terapia genica su cellule somatiche (il trasferimento cioédi un gene sano in cellule prelevate da un individuo con geni difettosie successivo reimpianto delle cellule manipolate), può consentiredi correggere alcune malattie genetiche.

Ritiene che questo tipo di terapia ponga problemi etici, diversi da quellidi una terapia farmacologica?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

30 Il trasferimento di un gene su cellule della linea germinaleumana, potrebbe consentire di prevenire gravi difetti genetici nell'individuoche nascerà: in questo caso però il patrimonio genetico manipolatoverrà trasmesso alle future genenerazioni.

Ritiene che tale procedura comporti problemi etici?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

31 Ritiene lecita la brevettabilità di nuovi "tipi"di organismi viventi o di geni e sequenze nucleotidiche identificati?

vegetali Si|__| No|__|

animali Si|__| No|__|

cellule umane:

somatiche Si|__| No|__|

germinali Si|__| No|__|

geni Si|__| No|__|

sequenze nucl. Si|__| No|__|

 

32 Per "morte cerebrale", a norma di legge, si intendeuno stato accertato di:

a)ettroencefalogramma piatto |__|

b)assenza di polso e di battito cardiaco, di riflesso pupillare e dirisposta al dolore |__|

c)stato vegetativo persistente|__|

 

33 E' favorevole alla norma detta del "silenzio - assenso",(approvata il 30 novembre 1995 al Senato), la quale permette il prelievo di organi in caso di decesso, ove non sia stato espresso in vita il proprio dissenso?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

34 E' stata presentata una proposta di legge (comma in aggiunta all'articolo 5 del codice civile), per cui <<Nessun intervento concernente la salute dell'individuo può essere effettuato senza una dichiarazione di consenso liberamente espresso dall'interessato>>.

Giudica questa proposta valida dal punto di vista del totale rispetto del paziente e fattibile sul piano pratico?

Valida Si |__| No |__|

Fattibile Si |__| No |__|

Non so |__|

 

35 E' a conoscenza del fatto che è in vigore una legislazione(DL.116,27/1/1992) concernente la sperimentazione animale, che provvede a regolamentarela materia e tutelare gli animali usati per scopi scientifici?

Si |__|

No |__|

 

36 Una mozione approvata dalla Camera dei Deputati il 5 novembre1988, impegnava il Governo a "promuovere una moratoria di tutte le ricerche e sperimentazioni relative alla manipolazione degli embrioni"umani.

Ritiene che una tale manipolazione sia:

inaccettabile |__|

accettabile |__|

consentita per motivi

terapeutici |__|

non so |__|

 

37 E' al corrente del fatto che è in fase avanzata di elaborazione la legislazione in materia di tecniche di riproduzione assistita e sperimentazione su embrioni?

Si |__|

No |__|

 

38 Ritiene che la sterilità e l'infertilità debbano venire equiparate ad altre patologie e, quindi, le terapie di riproduzione assistita debbano essere poste a carico del Servizio Sanitario nazionale?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

39 La riproduzione assistita può essere ammessa in tutti i casi?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

40 La pratica della riproduzione assistita deve tutelare i diritti del nascituro?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

  ;

41 E' stata avanzata in Parlamento la proposta d'esplicito riconoscimento giuridico (non definizione normativa) dell'embrione umano, per tutelarlosin dal momento della fecondazione da lesioni, alterazioni della struttura genetica, etc. Valuta questa proposta:

opportuna |__|

accettabile |__|

inaccettabile |__|

altro........................................

 

42 Cosa intende per "eutanasia" ?

a) un'azione o un'omissione che di sua natura o nelle intenzioni procurala morte, allo scopo di eliminare ogni dolore allo stadio terminale di una malattia; |__|

b) la sospensione di terapie in caso di malattia inguaribile, ad esclusione dei sedativi del dolore; |__|

c) la possibilità per un paziente con gravi sofferenze fisiche di darsi la morte, essendo medicalmente assistito |__|

 

43 Non vi è alcuna proposta di legge in materia di eutanasia:ritiene opportuna una legislazione in merito?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

44 Per prevedere l'insorgenza di alcune malattie prima di qualsiasi sintomo, sono oggi disponibili dei test, il cui risultato potrebbe indurre alla discriminazione sociale di soggetti con una particolare costituzione genetica.

Ritiene opportuna una regolamentazione in tale settore?

Si |__|

No |__|

Non so |__|

 

 

NOTE

.................... ............................................................................ ............................................................................ ............................................................................ ............................................................................ ............................................................................ ............................................................................ ............................................................................ ....................
Indice

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