Rosalia Azzaro Pulvirenti

Il piano su scienza e società del VI Pq dell'Ue e l'etica della ricerca

tratto da: AA.VV., Rapporto sul sistema scientifico e tecnologico in Italia, FrancoAngeli, 2003

 

 

Questa prima indagine sullo stato dell'arte relativo all'etica della ricerca in Italia scaturisce da un obiettivo nuovo, formalizzato in questo VI Pq: nel corso della sua attuazione e delle relative attività di ricerca devono essere rispettati i principi etici fondamentali. La seconda delle tre linee d'azione, rivolta a strutturare lo spazio europeo della ricerca, per la prima volta prevede anche uno specifico Action Plan su "scienza e società", che nelle intenzioni della Commissione che lo ha proposto "rappresenta uno sforzo esauriente e ambizioso di concretizzare in attività pratiche gli obiettivi generali". Il piano si articola in tre gruppi di attività intese a incoraggiare rapporti armoniosi tra scienza e società e a sensibilizzare la società nei confronti dell'innovazione, grazie a nuovi rapporti e a un dialogo consapevole tra ricercatori, industriali, responsabili politici e cittadini: 1. educazione scientifica in Europa; 2. avvicinare le politiche scientifiche europee ai cittadini; 3. sostenere una politica scientifica responsabile.

Una prima novità consiste nel riconoscimento ufficiale di un nuovo interlocuto-re, sia per la ricerca scientifica che per le politiche relative: la società civile, che è una realtà fatta di persone in relazione e di valori che ne fanno una comunità. Non è un cambiamento da poco: fino a ieri, imperava la convinzione che ben poca vera relazione potesse coesistere tra il mondo della scienza e quello della politica: "i pari decidono sul valore e nel merito della ricerca". Oggi il concetto di accountability (cioè l'obbligo di render conto alle autorità e ai cittadini del corretto uso delle risorse e dei risultati ottenuti), è diventato reciproco non solo tra scienza e politica, ma nei confronti di un terzo partner: la società civile e l'opinione pubblica, nazionale e globale. Da parte europea si afferma apertamente che per garantire scelte responsabili (e accettate) a livello sociale per lo sviluppo efficace delle nuo-ve tecnologie, sarà indispensabile una partecipazione attiva e tempestiva non solo dei responsabili della regolamentazione ma degli specialisti di problematiche eti-che, e della società nel suo insieme.

Una seconda novità riguarda la presa d'atto che una nozione squisitamente etica qual'è quella di "responsabilità" è oggi inseparabile, da quelle di "scienza" e "politica": non si può escluderne le competenze, dalla struttura e programmazione della politica scientifica. Di "politiche scientifiche responsabili" infatti esplicita-mente si parla: le questioni scienza/società devono essere trattate ampiamente a livello europeo. Le attività svolte in questo ambito riguarderanno in via prioritaria i temi seguenti:

a) una ricerca più vicina alla società: scienza e governance; parere scientifico; coinvolgimento della società nella ricerca; analisi previsionale;

b) un uso responsabile del progresso scientifico e tecnologico, in linea con i valori etici fondamentali: valutazione, gestione e notifica dei fattori di incertezza e di rischio; competenze; analisi e promozione delle migliori pratiche nell'applica-zione del principio di precauzione in vari settori del processo decisionale politico; sistema di riferimento europeo; ricerche sull'etica in relazione con la scienza, i progressi tecnologici e le loro applicazioni.

In sostanza, la ricerca sulle questioni etiche legate agli sviluppi scientifici e tec-nologici rientra a pieno titolo nel programma "Strutturare lo spazio europeo della ricerca" cioè l'analisi degli aspetti etici, sociali, giuridici e culturali delle attività di ricerca da svolgere e delle loro potenziali applicazioni, nonché lo studio degli im-patti socioeconomici dello sviluppo. Un altro esempio di questa attenzione alle questioni etiche, è il progetto sulle politiche sanitarie EuroPHEN (European Pu-blic Health Ethics Network 9, Public policies, law and bioethics), varato nel 2000.

Di contro, nell'analisi critica relativa al VI Pq redatta dall'Università di Oviedo per conto della stessa Ue, è stato fatto notare che "il tema dell'etica non viene menzionato come a sé stante nel nuovo Pq, ma non dovrebbe essere trascurato. La sua concezione e i suoi parametri dovrebbero inoltre essere adattati al continuo sviluppo scientifico". Subordinare l'aspetto di etica della ricerca alla sezione "scienza e società", può voler dire accantonare di fatto una riflessione autonoma ed indipendente sulle questioni di etica della ricerca, per assoggettarla al rapporto "scienza-società": già da più parti è stato denunciato questo tentativo di riduzione della bio-etica alla bio-politica o al bio-diritto.

Ma chi può e deve svolgere la funzione di counseling e advertising, sia alla po-litica scientifica che alla stessa scienza, oltre che di informazione e trait d'union con la società civile? Una funzione di questo genere, sembra l'unica che può sot-trarre le scelte del governo della scienza e della tecnologia non solo all'arbitrio e alle pressioni ideologiche di un'opinione pubblica spesso etero-diretta, ma spe-cialmente di quel "convitato di pietra" che è il mercato, la cui presenza muta ma pesantissima condiziona la libertà e la qualità della ricerca scientifica come le scelte politiche relative. Nelle società avanzate infatti, nelle quali la dinamica tra investimenti e produzione è in continua evoluzione e tensione, non può più essere indifferente ciò che richiede investimenti colossali in termini di formazione, di ri-sorse umane, di organizzazione, di finanziamenti nel momento in cui vengono av-viati, si conoscono già la destinazione, l'uso e almeno in parte le conseguenze del loro impiego. Significa che è stata operata una scelta più o meno razionale, che blocca delle risorse a vantaggio di un determinato settore od obiettivo a scapito di altri, cioè una scelta politica: che è anche una scelta etica, nella misura in cui coinvolge non solo le modalità di svolgimento ma gli indirizzi assunti dalla ricerca scientifica applicata. Ciò risulta tanto più cogente oggi, quando l'investimento pri-vato in ricerca biomedica e biotecnologia cresce a dismisura rispetto a quello pub-blico, e tende a sottrarsi a qualsiasi tipo di governance a livello nazionale e glo-bale. Ma una politica economica etica non è meno produttiva, come ha affermato di recente il governatore della Banca d'Italia.

Si è inteso quindi offrire qui - in un campo pionieristico e senza precedenti rile-vazioni, parametri o indicatori utili - un panorama dello stato dell'arte relativo all'etica della ricerca in Italia, cioè a organismi e strutture istituzionali e non, ope-ranti nel settore della bioetica cioè a quell'humus di consulenza istituzionale e di offerta formativa e informativa, esistente in Italia: il più consono a nostro avviso a fornire sostegno bioetico a politiche scientifiche responsabili, come si auspica a livello di Unione europea.

Negli ultimi cinque anni sono già state ratificate anche dall'Italia - non senza un acceso dibattito sottoposto all'opinione pubblica dai mass media - alcune impor-tanti convenzioni e guidelines provenienti dall'Ue che riguardano direttamente l'etica della ricerca scientifica, particolarmente in ambito biomedico e biotecnolo-gico .

In Italia, già nel marzo 1990 l'istituzione del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) presso la Presidenza del consiglio dei ministri, accoglieva la Raccomanda-zione n. 1100 del 2 febbraio 1989 del Consiglio d'Europa agli stati membri: creare con sollecitudine istanze nazionali interdisciplinari incaricate di informare la col-lettività ed i pubblici poteri dei progressi scientifici e tecnici compiuti di orientar-ne e controllarne le possibilità di applicazione, valutarne i risultati anche sotto il profilo dei diritti e della dignità umani e degli altri valori morali.

Sono 53 in tutto i documenti o pareri prodotti dal Comitato (Cnb) dal 1991 ad oggi, ripartiti come risulta nella tabella 2, insieme ai documenti prodotti dal Co-mitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie (Cnbb), istituito, presso la Presidenza del consiglio nel 2001 (sorto nel 1992 come "Comitato scientifico per i rischi derivanti dall'impiego di agenti biologici"). Per favorire una comparazione di massima sui possibili effetti della funzione di counseling auspicata dallo stesso legislatore, si riportano anche i provvedimenti legislativi attinenti a questioni di bioetica, emanati dal 1991 ad oggi, chiarendo che se esiste un nesso di consequen-zialità temporale, non si tratta necessariamente di un nesso causale, anche se è le-cito supporre che il legislatore stesso che ha richiesto questo servizio, abbia tenuto debito conto dei documenti espressi in seguito a studi e dibattiti effettuati in sede di Comitato.

Dal 1998 poi, esiste una categoria specifica di comitati etici, atti a rilasciare pa-reri vincolanti a regolazione dei protocolli di sperimentazione clinica, che sono quelli riconosciuti e iscritti dal Ministero della salute in un apposito registro (cfr. tab. 3).

 

Educazione scientifica in Europa: formazione e informazione in bioetica

Lo spazio crescente ricoperto dalla bioetica, dimostra che va maturando la con-vinzione, che una fiorente realtà sociale e scientifica è possibile solo all'interno di un vigile contesto, in cui tutte le forme di creazione culturale e tutti gli elementi e interessi sociali siano debitamente istruiti, rappresentati e correlati: una sinergia fondamentale anche per preservare la fiducia dei cittadini nel sistema scientifico.

All'attività del Comitato nazionale per la bioetica si sono affiancati anche in I-talia una miriade di organismi simili: centri di studio, comitati e commissioni di varia natura, molti dei quali si sono dotati di un loro sito, in cui forniscono infor-mazioni, testi ed occasioni di pubblico dibattito su questioni di etica della ricerca. Essi svolgono quindi una preziosa funzione di counseling, non riconosciuta uffi-cialmente, ma di fatto, è un concreto ed originale contributo anche al Public un-derstanding of science. Tema che, come si è visto, risveglia un interesse crescente nella Ue, ma che i comitati etici istituzionalmente deputati all'approvazione dei protocolli di ricerca per la sperimentazione, si trovano in grossa difficoltà ad af-fiancare alla propria attività specifica.

Alcune università italiane inoltre, hanno attivato cattedre di bioetica, dottorati di ricerca e borse di studio presso dipartimenti di medicina, filosofia o giurisprudenza, mettendo in atto una vera e propria offerta di formazione in bioetica, la quale corrisponde evidentemente ad una domanda di specializzazione anche ufficiale; ma suggerisce anche la possibilità di nuovi metodi di insegnamento per alcune discipline scientifiche. Ciò rientra in quell'interazione, prevista nel piano "scienza e società", fra le attività rivolte all'insegnamento e alla scienza: la formazione alla bioetica costituisceanche un nuovo modello, in cui è fondamentale riconoscere che si apprende nei tre ambiti del saper conoscere, del saper fare e del saper essere.

 

Formazione in bioetica in Italia

Dottorati di ricerca 5

Istituti universitari 8

Cattedre di bioetica 8

Corsi di perfezionamento 3

Facoltà di bioetica 1

Master 5

Fonte: Fondazione Noopolis, Istituto Bioetica UCSC.

 

Il Comitato nazionale per la bioetica raccomanda in un suo documento che i coordinatori di queste ricerche promuovano, come già avviene a livello interna-zionale, indagini parallele sul loro impatto etico e sociale nonché su quello giuri-dico; un altro importante antidoto contro le distorsioni della realtà scientifica, le quali possono generare infondati timori, ma anche contro i possibili usi impropri della conoscenza accumulata. Attualmente vi sono almeno 72 siti web italiani che forniscono informazioni e documentazione attinente alla bioetica, 20 centri studi e almeno 60 pubblicazioni italiane dal 1995 al 2000 (Archivio bioetica Iss).

 

Avvicinare le politiche scientifiche europee ai cittadini

Di recente, la considerazione dei temi di politica scientifica che necessitano di un counseling specifico di tipo etico, si è estesa dall'ambito biomedico a quello delle biotecnologie in genere. L'avvento delle prime applicazioni cliniche di trat-tamenti che implicano modificazioni deliberate di materiale genetico umano, ha posto il problema di adattare le procedure che regolano l'utilizzo di sostanze far-macologicamente attive sull'uomo, alle specificità dei prodotti utilizzati per tali trattamenti, usualmente definiti come terapia genica.

Tale orientamento si riflette anche nell'indicazione fornita dal Dipartimento scienza, tecnologia ed industria (Dsti) dell'Ocse, che nell'introduzione al Com-pendium di Biotechnology statistics suggerisce di uniformare la serie di definizioni per "biotecnologia", come primo requisito per sviluppare una catena di indicatori comparabili in merito.

Anche in ambito europeo, si parla nel complesso di "Scienze della vita, geno-mica e biotecnologie per la salute": il sequenziamento del genoma umano e di numerosi altri genomi annuncia come si sa una nuova era, che offre possibilità i-nedite di migliorare la salute umana e incentivare l'attività industriale ed economi-ca. La ricerca pluridisciplinare integrata al fine di conseguire una massa critica, (una forte interazione tra tecnologia, biologia e scienze umane) svolgerà un ruolo fondamentale quando si tratterà di trasformare i dati ricavati sul genoma in appli-cazioni concrete. Nell'attuazione di questo tema di ricerca sarà indispensabile, se-condo l'Ue, coinvolgere le principali parti interessate, industriali, fornitori di cure sanitarie, responsabili politici, autorità di regolamentazione, associazioni di pa-zienti, esperti di questioni etiche.

Da notare che nel VI Pq, alle "Scienze della vita, genomica e biotecnologie per la salute", è stato riconosciuto forse il ruolo strategico più importante: ma nell'ambito del mondo sviluppato le scelte di politica della ricerca e, in senso lato, di politica sociale, non tengono conto di una priorità etica da attribuire alle scienze della vita. Una riprova di questa "distorsione" della politica scientifica si evidenzia esaminando la spesa pubblica per ricerca e sviluppo nei principali paesi tecnologi-camente avanzati, articolata per obiettivi socioeconomici. La variazione percen-tuale media annua degli stanziamenti pubblici per "promozione e protezione dalla salute umana", infatti, è passata da -5,5% negli anni 1990-95, a -1,4% negli anni 1995-2000 (cfr. tab. 4).

Dagli stanziamenti dichiarati da alcuni paesi dell'Unione europea per le biotec-nologie, si evince la diversa politica scientifica adottata dalle diverse nazioni nei confronti della frontiera più avanzata e promettente, quella della ricerca in ambito biomed e biotech (cfr. tab. 4).

In Italia, la rilevazione della spesa per attività scientifica in ambiti specifici, co-stituisce in se stessa un problema: nell'ambito dell'università perché è strettamente legata a quella didattica e ad altre attività istituzionali, in particolare l'assistenza ospedaliera; in ambito ministeriale perché finora non si dispone di dati certi, né per quanto concerne la ricerca scientifica né riguardo al personale, in quanto coefficienti non riveduti sono applicati soltanto per stimare le risorse totali destinate alla ReS, ma non quelle delle singole discipline.

Il recente potenziamento dell'impegno trasfuso nelle biotecnologie, attesta la rinnovata attenzione con cui si guarda a questo campo della ricerca scientifica anche in termini di possibili ricadute economiche; mentre la débacle d'impegno da parte degli enti di ricerca e delle regioni testimonia l'asfissia di risorse che di recente hanno subito (tab. 5).

La ricerca biomedica è stata finanziata dal Cnr con fondi erogati attraverso il Comitato di scienze biologiche e mediche ed il Comitato biotecnologie e biologia molecolare, e con fondi destinati ai progetti finalizzati: ingegneria genetica, invec-chiamento, Fatma e biotecnologie e biostrumentazione (oggi questi dati non sono più comparabili con quelli del 2001, per un cambiamento avvenuto nei raggrup-pamenti disciplinari). Quel che si nota è che, a parte il calo di impegno in termini economici trasfuso alla fine degli anni '90, in seguito nonostante la minore dispo-nibilità finanziaria di cui ha sofferto l'ente negli ultimi anni, la tendenza è al rial-zo, a conferma della notevole presenza di isole di eccellenza all'interno del Cnr in quest'ambito (tab. 6).

Nell'ambito della ricerca biomedica e biotecnologia in Italia, bisogna ricordare lo sforzo nel settore (tale da surclassare quello delle multinazionali) delle maggiori industrie farmaceutiche italiane, nove delle quali rappresentano da sole il 60% (nel biennio 1999-2000) delle spese di ricerca dell'intero comparto farmaceutico in I-talia: 532 milioni di euro su un totale di 769. Inoltre, mentre del 65% delle risorse che le imprese italiane non farmaceutiche spendono per le proprie ricerche, il 35% proviene da intervento esterno, le industrie del farmaco investono quasi l'88% ed hanno solo il 12% di contributi.

 

Etica della ricerca a livello nazionale e globale

Il punto di vista "etico" riguarda direttamente, al contrario di quanto può sem-brare a prima vista, il sistema della ricerca e dell'innovazione, quindi le politiche scientifiche che lo riguardano: per esempio, pregiudiziali prese di posizione in ambito legislativo in una nazione, possono ritardare lo sviluppo della ricerca bio-tecnologica più innovativa. Ma in un sistema complesso e ormai globale come quello della ricerca scientifica, è impossibile restringersi al proprio "particulare", anche per motivi di interesse scientifico e di sicurezza, non solo economica, intesa in senso universale o globale. Secondo il "Rapporto 1999 sullo sviluppo umano: la globalizzazione", prodotto dall'Agenzia per lo sviluppo e la popolazione dell'Onu, la sfida della globalizzazione non consiste nel fermare l'espansione dei mercati globali, bensì nel consolidare le regole e le istituzioni per una governabilità più forte - a livello locale, nazionale, regionale e globale - per far sì che la globalizzazione operi a favore degli individui, non solo a favore dei profitti. Anche l'Agenzia per lo sviluppo industriale delle Nazioni Unite, ha affermato che solo il trasferimento di tecnologie e conoscenze scientifiche nei paesi in via di sviluppo, può garantire una "globalizzazione buona".

È ormai chiaro che la via dello sviluppo sulla quale questi paesi devono avanza-re, non è solo quella materiale, industriale o di mercato, ma la via di quello "sviluppo sperimentale" che costituisce uno dei tre pilastri della ReS. Sviluppo della ricerca e sviluppo sanitario ed economico hanno lo stesso nome, in tutti i pa-esi. Afferma lo stesso Commissario europeo per la ricerca: in una società fondata sulla conoscenza, cos'altro se non la ricerca scientifica può produrre conoscenza e quindi benessere? La tendenza dei paesi industrializzati, accentuata dalla forte competizione tra loro, è invece quella di permanere in uno stato di privilegio scientifico-tecnologico per assicurarsi il mantenimento sul piano dei propri privi-legi economici, soprattutto quando stabiliscono dei rapporti con i paesi più poveri.

Resta quindi aperta la forbice che vede da una parte le dichiarazioni di principio e dall'altra una precisa volontà politica dei vari paesi, di porre freno ai rispettivi interessi in vista di un piano comune, a favore specialmente di quelli più bisognosi delle condizioni essenziali per lo sviluppo e la ricerca: paesi che, tra l'altro, possiedono un enorme patrimonio in termini di biodiversità e possono rappresentare un ideale laboratorio ambientale, a condizione di essere trattati non come soggetti passivi, a volte persino inconsapevoli, di sperimentazione e sfruttamento delle risorse, ma come partners nella ricerca. Un caso eclatante in cui costi altissimi di sviluppo e incertezze sul futuro del mercato rallentano la ricerca, è quello dei vaccini contro patologie legate alla povertà come la Tbc, la malaria e l'Aids. L'Unione europea ha risposto con un programma basato con l'ottimizzazione dell'impatto, l'accessibilità dei farmaci e la ricerca. Esiste un consorzio composto da 38 gruppi di ricerca europei (TBVac), al quale aderiscono anche due delle maggiori imprese farmaceutiche, Aventis-Pasteur e GlaxoSmithKline. I ricercatori della rete EuroVac, fondata nel 1999, lavorano invece allo sviluppo di un vaccino contro l'Aids: prevista per i prossimi mesi l'entrata in fase I della sperimentazione. La Commissione europea ha inoltre stanziato un contributo di 200 milioni di euro per il programma Edctp, del costo totale di 600 milioni, per la sperimentazione di fase II e III che si svolgerà nei paesi in via di sviluppo, in cui queste malattie sono endemiche.

La questione di un'equa condivisione di conoscenze scientifiche e di tecnologie con questi paesi, di favorire cioè in loco la creazione di tutto il complesso di tec-nologie e di conoscenze avanzate nel campo della biologia e della medicina, è una responsabilità che compete sia alla scienza che alla politica che la governa e che certamente rappresenta oggi uno dei problemi fondamentali del sistema ricerca dei paesi avanzati, non solo europei. Quella che oggi appare forse come un'utopia, domani si dimostrerà un'esigenza imprescindibile per la comune sopravvivenza globale. È per questo che da tempo ormai si parla, oltre che di bioetica, di etica dello sviluppo e di biopolitica.

Questo aspetto propriamente etico - la giusta ed equa ripartizione dei vantaggi derivanti dall'uso di risorse genetiche, compresa la protezione delle conoscenze, delle innovazioni e delle prassi delle comunità indigene e locali - viene considerato apertamente proprio nella Direttiva 98/44/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecno-logiche. Nell'ultimo (n. 56) dei "considerando" che motivano l'adozione della presente Direttiva, si afferma che è necessario continuare a lavorare per contribuire a sviluppare una valutazione comune della relazione tra i contraenti della Con-venzione sulla diversità biologica, svoltasi nel novembre 1996, che nella decisione III/17 stabilisce diritti di proprietà intellettuale e le disposizioni attin enti all'accor-do sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (Trips), in partico-lare in ordine alle questioni riguardanti i trasferimenti di tecnologie, la conserva-zione e l'uso sostenibile della diversità biologica, nonché la giusta ed equa riparti-zione dei vantaggi derivanti dall'uso di risorse genetiche, compresa la protezione delle conoscenze, delle innovazioni e delle prassi delle comunità indigene e locali che incarnano stili di vita tradizionali importanti ai fini della conservazione e dell'uso sostenibile della diversità biologica.

Anche in una sede di alto prestigio scientifico e morale, la Pontificia accademia delle scienze, una voce di universale autorevolezza come quella di Giovanni Paolo II, ha di recente richiamato gli scienziati alle loro responsabilità di fronte alla rea-lizzazione di un sistema scientifico globale, pensando anche ai benefici enormi che la scienza può apportare ai popoli del mondo attraverso la ricerca di base e le applicazioni tecnologiche. La comunità scientifica, proteggendo la sua legittima autonomia dalle pressioni economiche e politiche, non cedendo alle forze del con-senso o al desiderio di profitto, impegnandosi in una ricerca generosa volta alla verità e al bene comune, può aiutare i popoli del mondo e servirli in modi non ac-cessibili ad altre strutture.

4. Conclusioni

 

Occorre "pensare europeo, altrimenti il divario di conoscenza e capacità di cre-scita economica nell'arena internazionale non farà che aumentare". Il legame esi-stente tra effettivo spazio europeo della ricerca e innovazione, costituisce una di-mensione importante di cui si deve tener conto nell'ideazione e attuazione delle attività di ReS.

Partecipare al sesto Pq dell'Ue - punto di novità, l'affermazione che saranno a-dottate misure specifiche intese a incoraggiare la cooperazione internazionale in materia di ricerca - significa per il nostro paese accettare tre sfide contemporane-amente: una prima sfida esterna, in collaborazione con altri partners, per rafforzare la competitività dell'unione europea su scala globale; una seconda, interna alla European Resarch Area, in competizione con gli altri, per l'acquisizione di quote significative di presenza e relative risorse. Una terza sfida, a livello nazionale, im-pone la necessità urgente di trovare o adeguare gli strumenti (in termini metodolo-gici, finanziari e di rinnovate risorse umane) di partecipazione all'interno del si-stema di ricerca italiano.

Attraverso lo specifico Piano d'azione su Scienza e società, con la sua gamma di importanti questioni di base, l'etica della ricerca sembra arrivata al centro delle discussioni in Europa, come base necessaria per sviluppare quei rapporti armoniosi tra scienza e società, correttamente sensibilizzate nei confronti dell'innovazione, grazie a un dialogo fondato, aperto e consapevole tra ricercatori, industriali, re-sponsabili politici e cittadini.

Se la rilevazione della spesa per attività scientifica in ambiti specifici in Italia costituisce in se stessa un problema, è ardua pure l'identificazione delle fonti pri-marie per individuare tutti quegli organismi che attuano studi e counseling di etica della ricerca scientifica e delle sue applicazioni più innovative, specialmente in ambito biomedico (l'Unione europea ha avviato un progetto per individuare, ana-lizzare e inserire tali organismi in un'unica Directory dei comitati etici locali di tutti i paesi europei). Da questa prima panoramica sullo stato dell'arte in Italia, si evince che ci si potrà aspettare un impatto considerevole, solo nella misura in cui gli stati membri si impegneranno in uno sforzo sostenuto, coordinato dal punto di vista sia culturale che economico, per raggiungere obiettivi comuni a livello glo-bale, articolati sulla base di un codice etico ampiamente condiviso.