Bioetica e droga:
quale rilievo hanno gli aspetti etici?
Rosalia AZZARO PULVIRENTI
Istituto di Studi Socio-economici sull'Innovazione e le Politiche della Ricerca (ISPRI), Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma
Commissione di Bioetica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma
Istituto di Studi Socio-economici sull'Innovazione
e le Politiche della Ricerca (ISPRI) del CNR,
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Riassunto
Quel che s'intende offrire è un'ordinata descrizione di alcuni temi che sorgono considerando il problema dal punto di vista della filosofia morale. Essi concernono tre ordini di valori: autonomia e responsabilità personale, pubblica sicurezza e bene comune, una corretta relazione tra i due. Viene evidenziata la necessità di un'analisi che consideri i diversi approcci (scientifico, pragmatico, personalista) e ne valuti la compenetrazione reciproca. Si offre inoltre un breve resoconto dei Disegni di Legge presentati di recente in materia di sostanze psicotrope. Ragionando in cerca della migliore soluzione operativa e distinguendo le argomentazioni etiche dal resto del dibattito a riguardo, tale studio getta nuova luce sulla possibile sintesi tra valori, giustizia e diritto, quali sono contemplati nella nostra Costituzione.
Parole chiave: Bioetica e droga. Autonomia e sicurezza. Giustizia e diritto
Summary (Bioethics and drug: which relief for principles of Ethics?).
This philosophical point of view want to offer an ordered description of same ethical issues grown from this question. They concern three values: personal freedom and responsibility, public security and benefits for all people, and a correct relationship each other. It is necessary an analysis that should have consideration for those different approaches that are looking for best solutions: scientific, pragmatic, personal. This study give moreover a brief account of Italian bills about drug abuse new treatments. The reason for separating ethics arguments from the rest of debate also throws light on the possible synthesis of values, justice and law, as it is contemplated in our Constitution.
Key words: Bioethics and drug. Personal responsibility. Justice and public security
Introduzione
Il fenomeno delle tossicodipendenze vede il nostro Paese in testa alle classifiche europee, insieme con Regno Unito e Portogallo, come risulta dall'ultima Relazione annuale sull',,,,,,evoluzione del fenomeno della droga nell'Unione Europea. E" opportuno prendere in considerazione le questioni etiche correlate? I motivi a me paiono sostanzialmente tre:
1. l'analisi del profilo etico riguarda la necessità di coniugare esigenze essenziali: i valori dell'autonomia personale, della protezione della società e di una corretta relazione tra il singolo e la comunità;
2. lo studio e la sintesi dei vari approcci (scientifico, pragmatico, personalista, strategico) diretti allo studio e all'attuazione delle migliori soluzioni, per il recupero dalla tossicodipendenza e per il contrasto della sua diffusione;
3. la funzione di un orientamento integrato e non solo tecnico e organizzativo, da dare alle risposte politiche e strategiche che ciascun Paese elabora, in cooperazione con altri Governi.
Una valutazione approfondita e realistica dell'impatto dei piani d'azione volti a contrastare il fenomeno, insomma, non può esulare dall'esame degli aspetti etici in questione, per limitarsi a quelli descrittivi e pragmatici. Vediamo in dettaglio perché.
I valori in gioco
Nel considerare la tossicodipendenza sotto il profilo sanitario dell'assistenza e del recupero sanitario del soggetto, le soluzioni metodologiche proposte spesso tengono in ombra gli altri valori in gioco fino ad oscurarli, evitando così di approfondire e risolvere il loro eventuale conflitto.
Elencandoli in ordine all'etica del pubblico agire, il primo valore è quello della beneficialità oggettiva al soggetto interessato in prima persona, che includa la riflessione su "cosa è bene fare" senza escludere a priori le altre "radici dell'io": la considerazione cioè del "come è bene essere" e "cosa è bene prediligere"[1].
Oltre lo "star bene" a livello fisiologico esiste un "ben - essere" in senso più ampio, come riconosce pure lzOMS, che include una reale libertà di scelta: il secondo valore è perciò quello dell'autonomia personale; non solo come petizione di principio ma come possibilità concreta, che comprende la padronanza di sé stessi e cioè il senso di responsabilità: che è esattamente quello che fa sì che la libertà di fatto diventi libertà di diritto, da semplice "libertà fisica" a vera "libertà morale"[ 2 ]. Ma, per definizione, le droghe sono "sostanze psicotrope che per gli effetti piacevoli che producono attirano il soggetto ad un'assunzione ripetitiva, dapprima liberamente voluta, poi coatta"[ 3 ].
Non si può quindi non chiederselo francamente: fino a che punto le scelte "in quanto tali" di un soggetto affetto da tossicofilia allo stadio avanzato e con facoltà mentali ridotte, sono effettivamente libere? Domanda non indifferente dal punto di vista etico, il quale ci dice che una vera libertà è condizione non sufficiente ma necessaria perché una scelta sia morale. Una definizione filosofica vede il diritto come "una facoltà di operare ciò che piace, protetta dalla legge morale, che ne ingiunge ad altri il rispetto"[4]. Certo il valore della beneficialità non deve privilegiare il bene comune a scapito del bene individuale. Ma domandiamoci pure: esiste un "dovere alla salute" speculare al diritto alle cure, cioè una responsabilità individuale nei confronti di un bene collettivo, criterio che viene comunemente accettato nel caso di rispetto dell'ambiente?
Ecco il terzo valore in gioco: la relazione tra il singolo e la comunità, tra lo Stato e il cittadino, che deve essere per lo meno consultato personalmente (non solo attraverso rappresentanze ufficiali, di categoria o politiche), nell'ambito del momento giustificativo dell'intervento a suo beneficio. Infatti, quando il diritto - dovere della comunità di proteggere sé stessa ed ognuno dei suoi membri, nel suo momento esecutivo non diventa prepotenza legalizzata? Se esso resta nei confini della giustizia. Omettere questo momento giustificativo "significa scordare che il momento esecutivo non diventa violenza (cioè uso immorale della forza, sia quella fisica sia quella persuasiva) soltanto se resta entro i confini della giustizia"[5]. A supporto dell'esigenza esecutiva occorre cioè una un'esigenza giustificativa, la quale "è soddisfatta quando il fine, a cui è ordinata la norma, sia giudicato da tutti come il fine superiore per tutti ad ogni altro fine, cioè tale che ciascuno debba riconoscere giusto per sé e per gli altri che sia anteposto ad ogni altro, e quindi giusto che sia seguita la condotta corrispondente"[6].
E qui entra in gioco anche la definizione del fine e perciò dei confini della giustizia. Se il soggetto interessato non è compos sui, tanto più ha importanza la dialettica tra giustizia in senso lato e diritto d'intervento, nonché l'oggettiva valutazione di tutte le circostanze e i dati correlati al caso specifico, a cominciare dalle evidenze scientifiche.
Perché la società deve farsi carico di questa analisi approfondita, non basta l'intervento di pubblica sanità e sicurezza? Ecco il tipico esempio di domanda non - etica, perché non tiene in conto l'attenta valutazione oggettiva e non si cura abbastanza della persona individuale, prima di prendere decisioni; ma è anche una domanda non - intelligente, perché non calcola l'effettiva ricaduta negativa di questa mancata valutazione sulla società, che ne subisce danno non solo in termini di sanità e sicurezza, ma perché non riesce ad attuare politiche efficaci di riduzione e dissuasione, pur impegnando un notevole impiego di risorse.
Questa deficienza di pubblica riflessione e discussione circa il bilanciamento dei valori, mantiene intatta naturalmente tutta la sua potenzialità negativa, anche nel caso che cambino direzione le strategie d'intervento a livello di Governo: se, per fare un esempio spicciolo, vengono privilegiati i Centri di recupero al posto dei SERT, che non funzionano come dovrebbero (per carenze strutturali, come è noto, più che non per l'impegno trasfuso da chi vi opera, spesso con generosa dedizione).
Proprio la razionalità etica ci suggerisce che non può mai riuscire buona, né nella sua qualità intrinseca né nei suoi risultati, specialmente quelli a lungo termine, un'azione privata o pubblica, che non sia derivata da una riflessione completa e quindi da una scelta veramente libera e autonoma. Occorre inoltre sottolineare che neanche l'individuazione di norme giuste è sufficiente alla promozione di scelte e di situazioni, personali e sociali, di per sé giuste ed efficaci, come Platone invece faceva sostenere a Socrate: "Saepe audisti boni ideam esse maximam disciplinam"[7].
Le scelte giuste infatti, come insegna la scienza morale, hanno sì a che fare con la conoscenza ma specialmente con la volontà del bene, sono frutto di libera autodeterminazione e cosciente maturazione, sia a livello individuale che sociale.
I tipi di approccio al problema e i Disegni di Legge
Veniamo ora ad esemplificare i principali tipi di approccio al problema delle tossicomanie. Approccio scientifico si considera in generale l'aspetto farmacologico, che va dall'analisi ed anamnesi delle sostanze fino ai casi di valutazione dell'emergenza medica nella somministrazione del metadone. Ma scientifico è anche quello socio - psichiatrico, che tiene presente il rapporto tra droga e malattia mentale, vale a dire che contempla l'assunzione di droghe come tentativo di "auto - medicazione" sia nel caso di processi mentali disturbati (prima o a seguito del loro uso), che per ristabilire l'equilibrio fisico e psicologico alterato nelle stesse fasi di assuefazione dell'organismo. "L'approfondimento di questi aspetti da parte della comunità scientifica acquista una valenza etica, oltre che pratica"[8].
Si introduce così il concetto di valutazione scientifica anche a livello individuale: occorre individuare una precisa anamnesi (chi è il tossico e come è arrivato all'uso e alla dipendenza), diagnosticare se è presente solo l"abuso di sostanze o una sintomatologia psichiatrica (che può essere il semplice tentativo di autodifesa dalle frustrazioni subite); ed infine identificare una prognosi, che sia o no definitiva. Infine, bisogna accumulare questi dati e renderli oggetto di elaborazione e consultazione scientifica. Ma diciamocelo francamente: la scienza è interessata a tutto questo? Forse solo la ricerca pubblica può farsi carico di studi di questo tenore, che forse non vedono un'immediata ricaduta economica ma sicuramente benefici sociali enormi a lungo termine.
Per approccio pragmatico s'intende quello mirato all'agire, in vista della sicurezza pubblica e della "riduzione del danno" specifico e di quelli collaterali, sia attraverso la dissuasione preventiva con misure più pesanti o alleggerendo le pene previste (contro l'affollamento delle carceri), oppure con misure palliative di vario genere.
Per inciso, è curioso notare come questo tipo di approccio sia l'unico ampiamente rappresentato nei più recenti Disegni di legge di diverso colore politico, presentati alle Camere in tema di sostanze stupefacenti (limitandosi all'ultima Legislatura). Per esempio, il Disegno di Legge N. 44 (31 maggio 2001, d'iniziativa del senatore Cortiana), nell"ottica della riduzione del danno, avanza la proposta (tuttora assai discussa sul piano scientifico e pratico) di legalizzazione della distribuzione delle cosiddette <<droghe leggere>>.
Una Proposta di Legge di un solo articolo, (CD N.1159, presentata dal deputato Peretti il 3 luglio 2001) si limita invece al pur giusto suggerimento di ampliare l"elenco delle sostanze dannose vietate, perché la fantasia dei chimici arruolati dalle associazioni a delinquere sopravanza rapidamente la codifica del legislatore.
Un'altra (CD 412 d"iniziativa dei Deputati Pisapia, Bertinotti et al., presentata il 1° giugno 2001), lamenta il fatto che "la detenzione di sostanze stupefacenti, anche per uso esclusivamente personale, continua ad essere ritenuta un illecito amministrativo per il quale sono previste sanzioni inadeguate ai fini di qualsivoglia attività di prevenzione o di contenimento del fenomeno della tossicodipendenza", e siccome le pene edittali paiono eccessive ne propone la modifica "limitando la configurazione del reato e riducendo le pene attualmente previste": proponendo tuttavia di sostituire le sanzioni "con misure tese al recupero ed alla cura del tossicodipendente", non specifica assolutamente quali possano essere.
Un'ultima proposta di modifica delle disposizioni sanzionatorie, la più articolata in termini di proposte innovative circostanziate, è contenuta nel Disegno di Legge N.488, comunicato alla Presidenza del Senato il 17 luglio 2001 (d'iniziativa dei Senatori Calvi, Maritati et al.); l'urgenza che qui s'intravede è quella di mantenere "ferma la barriera generalpreventiva posta con le previsioni sanzionatorie ma, al tempo stesso, depurando queste ultime di quell'eccedenza repressiva che determina un sovraccarico carcerario". Si fa riferimento anche "al fine di disciplinare in modo più rigoroso e razionale e maggiormente rispondente alle sollecitazioni internazionali le sanzioni amministrative oggi collegate all'uso personale di sostanze stupefacenti". Interessante il previsto articolo 5, che "disciplina l'istituzione ed il funzionamento di centri d'informazione e di consulenza sui danni derivanti dall'uso di sostanze stupefacenti". Bisogna infatti sottolineare, che essendo come è noto la libertà di scelta basata sulla informazione dettagliata e completa, non è assolutamente corretto da parte di uno Stato libero e democratico mancare di provvedere il cittadino di tutte le informazioni sulla pericolosità dell'uso di sostanze che causano tossicodipendenze, non solo il fumo, ma stupefacenti e allucinogeni o sostanze di sintesi di vario genere, oltre che l'abuso di alcool (il cui tasso anche indiretto di mortalità è superiore come è noto a quello dei primi due messi assieme).
L'approccio personalista e strategico
L'approccio personalista, come tutti sanno, riconosce al centro di ogni considerazione l'uomo e il suo autonomo disporre della propria persona, come un bene che va tutelato dalla società: senza che si intenda di conseguenza l'uso di una libertà illimitata ed incontrollata. Ogni tutela però, quella della proprietà per esempio, va bilanciata secondo Rosmini con i "due bisogni della società: la giustizia e l'utilità", che vanno ambedue promossi per ciascuno dei suoi membri. Questa impostazione pone l'accento sul rapporto dinamico tra giustizia e diritto, che non può essere inteso come semplice espressione dell'economia o dell'andazzo sociale, che riducono le formazioni giuridiche positive a diritto statuale, unica fonte di giustizia civile e penale. Giustizia intesa a sua volta nel senso più alto, di "ordine supremo dei fini", quello che Luigi Sturzo chiamava "ordine interiore" e Rosmini "ordine dell'essere", senza il quale qualsiasi ordine sociale diventa non solo apparente ma pericoloso. Il personalismo suggerisce che "vi è una realtà di contenuti, di valore, e vi è un'adeguazione umana di carattere sociale, anche esteriore"[9], e che quindi il concetto di giustizia in una società civile deve uscire dall'ambito ristretto della rivendicazione individuale o collettiva, per trovare, in riferimento al diritto come principio ideale, le coordinate di una sua configurazione più ampia ed articolata, che certo si attagli ai diversi contesti storici e meccanismi temporali. Anche in materia di riabilitazione e reinserimento sociale, sostegno terapeutico e possibili alternative, un tale suggerimento può aiutare a trovare le soluzioni più rispettose della realtà dei fatti e dei concetti ma anche della singolarità dei casi.
Né si può attuare nessuna efficace campagna di informazione, di consulenza e di dissuasione, senza la seria considerazione di quei valori, che si dicono universali in quanto comuni all'umanità di ogni essere umano, e si dicono fondamentali perché alla base dei diritti dell'uomo. Altrimenti la stessa giustizia sul piano sociale si impoverisce a livello materialistico, si riduce a giustizia distributiva, esecutiva e penale, non più a valido criterio regolatore del pubblico agire, al di fuori del fluttuare degli stati d'animo emotivi e confusionali e delle correnti ideologiche di moda, che pencolano a favore di una parte e non della totalità sociale. Ciò che evidentemente non è etico: ma non appare nemmeno razionale.
L'approccio strategico al problema delle tossicodipendenze, infine, è unicamente quello che si sforza (e lo sforzo è gia una categoria etica) di tenere nella massima considerazione tutti gli altri, di analizzarne gli aspetti positivi e limitativi, di compararne gli esiti attuali o prefigurabili, anche esaminando le esperienze già realizzate in altri Paesi. Si tratta forse di un semplice contributo di "equilibrio riflessivo", ma senz'altro in un senso più integro e completo di quello inteso da J.Rawls.
Quali comportamenti ci si aspetta dal cittadino e dallo Stato
Se questo è il quadro entro il quale collocare il problema del rapporto tra etica e droga, conviene ora approfondire l'aspetto dei comportamenti che si richiedono al cittadino e allo Stato, che rappresenta l'insieme della società con le sue esigenze, i suoi diritti e le sue opinioni, come pure rappresenta i singoli cittadini nella loro dignità e nel loro diritto all'autonomia personale. Un comportamento che deve escludere qualsiasi scorciatoia e che, nel conflitto tra i vari interessi, non si risolva a scapito del più debole.
A parte il procurarsi un danno fisico, che può manifestarsi a breve o medio termine, perché da un punto di vista morale il drogarsi è sempre illecito? Perché "comporta una rinuncia ingiustificata a pensare, volere ed agire come persone libere"[10].
Ritorniamo a chiederci: è una vera libertà di scelta quella che ignora precise importanti informazioni? Quanti giovani sanno esattamente, al momento che cominciano ad assumerne in modiche quantità o anche dopo, quali sono esattamente gli effetti dello "sballo"? Solo quando lo imparano sulla propria pelle, quando è ormai troppo tardi per sottrarsene: non è senza significato il fatto che l'82% dei tossicomani sia passato attraverso il consumo di droghe leggere. Però non basta l'informazione e l'educazione sanitaria, nel ventaglio delle libere scelte entrano in gioco ben altri fattori, come ben si sa ma non si dice: vuoto esistenziale, sofferenze psicologiche, semplicemente il desiderio così fortemente connaturato nei giovani di fare nuove esperienze, provare sensazioni diverse, adeguarsi ai fenomeni di moda per non avere la sensazione di essere esclusi da quel mondo che ruota vorticosamente intorno a loro, scagliandoli ai margini con una forza centrifuga tanto più potente quanto più priva di un suo centro di equilibrio: quei valori essenziali all'uomo stesso, capaci di dare pieno significato all'esistenza personale.
A ben vedere le questioni etiche sono inscindibilmente connesse anche al piano dell'intervento pubblico; come prima cosa, risulta obbiettivamente disumano considerare la prevalenza della protezione del diritto della società ad esser difesa se esso dovesse realizzarsi in opposizione al diritto equivalente delle persone affette da tossicodipendenza. Costoro evidentemente ad un certo punto, che non è facile identificare, non possono essere considerate come persone che commettono con deliberata coscienza un fatto considerato criminoso dalle regole che presiedono alla convivenza in una società, perché ingeriscono sostanze che producono effetti loro nocivi.
Ma intanto, c'è uno stadio precedente su cui è possibile intervenire, un momento in cui è presente la piena avvertenza da parte dei soggetti coinvolti: è il punto di passaggio in cui avvengono i primi approcci alla droga, nella fase iniziale, con l'acquisto di modiche quantità. E' proprio qui che lo Stato può e deve intervenire con decisione, stabilendo limiti precisi in base a regole logiche e attuabili. Se l'assunzione di droga ha sempre e comunque effetti dannosi, a medio o lungo termine, sia per l'individuo che per la società, non si vede perché debba essere esclusa dal rilievo penale la detenzione di droga in "modica quantità": per tenere una pistola in casa è comunque necessario il porto d'armi e la situazione non cambia se c'è un solo proiettile invece che il caricatore pieno. Forse perché fa riferimento alla "dose media giornaliera"? Certo ognuno è libero di violare le norme di sicurezza personale e collettiva, e ne risponde penalmente, ma a condizione di sapere cosa sta facendo e poter calcolare ogni volta, in base a tempi e modi diversi, le conseguenze cui va incontro.
Se lo Stato ritiene di vietare come comunque dannoso il traffico di stupefacenti, destinato ovviamente all'uso personale, non può fare eccezioni di "quantità", motivate non si sa esattamente da quali ragioni, che vanno incontro comunque a ogni genere di rischio di abuso, rendendo di fatto più complicata la repressione del fenomeno. E non certo per questioni di ingerenza nella sfera etica personale, che non compete allo Stato, il quale giustamente ne resta escluso. Ma perché il dettato costituzionale vuole sempre leggi chiare, leggibili ed esigibili: un'eccezione di tal genere va proprio nella direzione opposta, inficia l'attuazione piena ed efficace della legge stessa.
E una tale sorta di ragionamenti non perdono la loro forza logica per il fatto che un referendum popolare che certo non è stato frutto di razionalità stringente (18 aprile 1993), ha abrogato le disposizioni che prevedevano l'illiceità del mero consumo di sostanze stupefacenti e introducevano la non punibilità penale per chi detiene sostanze stupefacenti "per uso personale" e in quantità pari alla "dose media giornaliera": concetto quanto mai aleatorio, dato che per quel fenomeno di autoregolazione costante dell'organismo, noto come assuefazione, la "dose giornaliera" per ottenere gli stessi effetti va sempre aumentata!
Oltretutto la nostra Carta all'art.32 garantisce il diritto alla salute come "fondamentale diritto dell'individuo oltre che interesse della collettività", mentre l'articolo 5 del codice civile esclude "la legittimità degli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionano una diminuzione permanente della integrità fisica". Nel caso di assunzione costante di droga, la "dose media giornaliera" non salvaguarda affatto dal sopraggiungere di una diminuzione permanente dell'integrità fisica! Ma già Manzoni, come tutti sanno, faceva l'esempio delle famose "grida" tanto meno applicate, quanto più alte e in sé contraddittorie.
Al contrario, l'uso di sostanze psicotrope per cause ben motivate come quelle di ordine medico (lenire sofferenze fisiche o psichiche), deve essere sottoposto a regole di reale necessità e di prudenza, ma non del tutto ostacolato: di recente come è noto, tale uso comincia ad essere supportato da una legislazione adeguata (oltre il DPR 309,1990 e il D.L. 171, 13, 1993).
La società inoltre deve essere protetta non solamente dagli atti inconsulti di chi, per l'impellente necessità di procurarsene o per l'effetto della droga li compie a danno di altri; ma soprattutto dal rischio di autodistruzione della personalità del tossico, in quanto membro della società medesima.
Esiste poi un terzo soggetto interessato, che la nostra Costituzione contempla come meritevole di tutela: sono "le famiglie che, essendo segnate e direttamente colpite dal triste fenomeno, non si sentono sufficientemente assistite e protette"[11]. E' cinico se non criminale il ragionamento di abbandonare a sé stesso il tossicodipendente e la famiglia che è spesso costretta a sopportarlo, per occuparsene solamente quando mette a rischio o colpisce l'incolumità e la sicurezza di persone o cose.
Un tale cinismo ha come substrato logico la legittimità della libera circolazione della droga di qualsiasi tipo e potenza, e come illogica conseguenza poi la considerazione del tossicodipendente alla stregua di un delinquente comune. Ma queste scelte di fondo, che non sono morali ma neanche razionali né valide sul piano concreto, non sono state ufficialmente operate da nessuno Stato, che anzi in genere considera persino il reato di "pericolo presunto". Tra i compiti che lo Stato avoca a sé stesso, piuttosto, c'è quello di coniugare i diritti e i doveri della società con quelli del cittadino tossicodipendente e delle parti in causa, tra cui quella "cellula fondamentale" della società che è la famiglia.
Possibili soluzioni concrete
In concreto, cosa si potrebbe ipotizzare, oltre le proposte previste nei Disegni di Legge citati? Perché per esempio non prevedere una commissione medica e scientifica inserita in una struttura di assistenza socio - sanitaria (ASL, SERT, Centro di recupero), che valuti innanzitutto lo stato attuale del tossicodipendente, la sua capacità d'intendere e di volere. Coloro i quali sono ritenuti incapaci, potrebbero essere obbligati per legge e per un tempo minimo stabilito da quella Commissione, ad essere ospitati in centri di recupero pubblici e privati.
E ancora: coloro che fanno uso abituale di droghe, condannati per reati comuni, dopo il primo grado di giudizio potrebbero essere obbligati a scontare la pena loro inflitta dal giudice in un apposito centro che preveda un trattamento di recupero sanitario e sociale. I genitori dei tossicomani si vedrebbero così sollevati da un incarico cui non sono più in grado di far fronte, dando contemporaneamente una possibilità di riabilitazione al loro figlio, per il cui mantenimento si può prevedere da parte loro un versamento all'erario, pari per esempio al 10% delle loro entrate lorde.
Certamente qui entra in gioco il diritto sostanziale: molto spesso ormai le dichiarazioni di liceità si fanno derivare dal substrato sociale, e trovano nella codificazione del legislatore solo la qualificazione di liceità. Ma una seria "rivoluzione" civile e scientifica dove vuole arrivare? Ad una liberalizzazione dei costumi massima con il minimo degli inconvenienti (tipo quella dei patrizi romani che rimettevano dopo un lauto pasto per potere continuare a mangiare ancora) o a un'alta e diffusa educazione civica? Se l'obbligo di motivazione è ormai un dato acquisito dalla legislazione moderna, tanto che può portare al provvedimento di motivata impugnazione del giudizio, quel che si eccepisce, è proprio questo: che quest'obbligo di motivazione è totalmente assente nell'attuale legislazione sulle tossicodipendenze: assenza di motivazione che va dalla non - punibilità in caso di possesso di modiche quantità, all'assistenza al tossico da parte dello Stato, sia che si tratti di semplice somministrazione di metadone, senza alcun ulteriore studio del caso, sia del tentativo di recupero "coatto". E perché non innalzare la soglia degli interventi, puntando al recupero anche di quelli che "non vogliono" disintossicarsi, e soprattutto non discriminando pazienti più "facili" (meno aggressivi, meno fragili psicologicamente etc., più abbienti) a scapito di altri.
Bisognerebbe inoltre attivare strutture diversificate, stabili o "leggere" ma tutte scientificamente valide e potenziare la loro interconnessione a livello regionale; con quegli obiettivi comuni che sono il recupero e il reinserimento produttivo nella società, ma con risultati che non possono essere uguali e saranno spesso parziali (in base all'esperienza di chi lavora sul campo, il successo del trattamento dipende generalmente dal tempo e dall'impegno che vi sono profusi).
Conclusione
M a lasciando la trattazione di queste questioni specifiche agli specialisti (purché se ne occupino!), desideriamo concludere sottolineando l'importanza di questo approccio integrale che ci pare davvero strategico, alla questione delle tossicodipendenze. Un modo di ragionare suggerito dalla concezione "personalista", se si vuole etichettarla in qualche modo, ma che ci pare l'unica oggi che realmente è in grado e vuole rimettere sul tavolo quegli argomenti, che in altezza costituiscono il punto di riferimento e in profondità sono le fondamenta di tutti quei principi, altrimenti astratti, di libertà, giustizia, rispetto dei diritti, civile convivenza, solidarietà, di quella dignità umana insomma che è concetto inscindibilmente connesso a quello di "esigenza morale"[12] e di Giustizia, intesa come si diceva nel suo rapporto dinamico col diritto. Tutti valori contemplati nella nostra Costituzione, ma non più studiati né considerati a livello di quel comune sentire, che fa sì che la nostra Carta non diventi appannaggio di accademici e di Corti, ma sia il tessuto vivo su cui si ordina la trama dei rapporti civili, personali e sociali, in cui si riconosce una Nazione.