Etica e politica della ricerca
Rosalia Azzaro Pulvirenti
Tratto da "ANALYSIS - Rivista di cultura e politica scientifica", N.4/2001 - Dicembre 2001
Il dibattito tra politici, ambientalisti e consumatori su problemi della ricerca, senza tener conto degli operatori del campo. La necessità di una consulta permanente di ricercatori che esprimano la loro opinione su scelte di politica della ricerca. L'esempio della valutazione degli Organismi Geneticamente Modificati.
Sarebbe opportuno avere una consulta permanente degli operatori della ricerca, finalizzata alle più importanti scelte di politica scientifica. Ad esempio per la valutazione dello status dell'etica della ricerca e dell'informazione scientifica nel settore agro-alimentare, un'area hi-tech a rapidissima evoluzione.
L'iter di valutazione approntato dalla Commissione Europea riguardo gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM), è talmente complesso che non solo nessun prodotto è stato autorizzato (con prevedibili ricadute per la ricerca), ma l'intero settore è stato rimesso in discussione, con rinnovato allarme dell'opinione pubblica. Ma in questo dibattito tra ambientalisti, politici e consumatori, non sono stati invitati ad alzare la loro voce proprio i ricercatori, i quali avrebbero da dire qualcosa in generale (che anche nel caso del "principio di precauzione " i risultati possibili sono solo graduali e in itinere, come tutti i risultati scientifici) e potrebbero fornire dati precisi su problemi specifici.
Appare ovvia la necessità di consultare i ricercatori, innanzi tutto per avere uno spettro panoramico ampio e dettagliato dello stato delle questioni. In secondo luogo per favorire l'emersione dei problemi reali della ricerca pubblica (e non dei fittizi, indotti più da pressioni ideologiche o di scoop a buon mercato), come per esempio la non flessibilità degli interventi e l'erogazione delle risorse a singhiozzo. In terzo luogo per favorire l'etica del'informazione scientifica, vale a dire una regolare comunicazione ed una corretta circolazione di notizie, complete e accertate, tra accademia istituzioni e società.
Invece avviene che dalla riflessione sulla necessaria coesistenza di interessi nel promuovere scelte responsabili di politica biotecnologica, di fatto non venga dato uno spazio primario ai ricercatori che se ne occupano. Questa stessa documentazione scientifica appropriata, che il fabbricante di un OGM dovrebbe fornire per ottenere l'autorizzazione al rilascio secondo la legislazione europea, da quali organismi dovrebbe essere condotta, e soprattutto valutata con precisi dati analitici se non da quelli di una ricerca accreditata, possibilmente quella pubblica dei vari Paesi, per evitare il rischio dell'auto-referenzialità,? Eppure ancora oggi la documentazione relativa ai costrutti ed alle sequenze utilizzabili nella produzione di piante transgeniche non è accessibile neanche a strutture pubbliche di ricerca, come le Universit&agra ve;. Ciò impedisce pure di prevedere "una adeguata strategia di coinvolgimento delle imprese nella gestione della sicurezza alimentare", che certo comprenda i controlli ma non si riduca ad essi, in un dannosa ottica persecutoria: la politica pubblica è tale se prevede per l'appunto la tutela degli interessi generali, di tutti e di ognuno e non solo a livello collettivo.
Nel deprimente andazzo generale di incomunicabilità tra società e ricerca, cui assistiamo non solo in Italia, vi è forse in atto una lieve inversione di tendenza, volta a favorire relazioni di reciproca comprensione e maggiore fiducia tra scienziati ed opinione pubblica .
Certo, vi è sempre il rischio che il potere politico cerchi di strumentalizzare il mondo della scienza ed i suoi brillanti, anche se parziali risultati, facendone strumenti ed interpreti delle proprie scelte ideologiche e legislative: la logica della pubblicità preventiva di un prodotto da immettere sul mercato, insomma, non risparmia né l'ambito scientifico, né quello legislativo e neanche quello etico.
Restituire un ruolo pilota agli scienziati, che superi quello di counseling e riprenda in mano l'iniziativa non solo nello studiare le soluzioni, ma nel decidere quali problemi risolvere per primi: si tratta di utopia? Forse, ma necessaria per contrastare un incubo di fronte al quale scienza e tecnologia appaiono impotenti: quello del terrorismo tecnologicamente avanzato che cerca giustificazioni in nome della giustizia globale.
Questi tragici eventi che ci coinvolgono, compresa la reazione del Paese attaccato, sono stati interpretati come una necessità di cambiamento dei nostri stili di vita. E' una questione che interroga anche il mondo della scienza, diciamo pure gli scienziati in prima persona, nella misura in cui vogliono restare protagonisti delle scelte comuni che li riguardano e della complessa realtà in cui vivono: perché non siano i processi socio -politici a governare quelli scientifici, ma ambedue trovino insieme le regole cui sottoporsi.
Ciò impone però, a nostro avviso, una "rivoluzione coprnicana di due punti di visuale del mondo della scienza:
Privilegiare ricerche finalizzate al mutamento genetico delle cellule germinali al fine di consentire all'uomo di respirare sott'acqua o di volare, appare con estrema evidenza un esempio di scelta miope, "politicamente scorretta", anzi di più, non - etica: non tanto perché lede il principio di eguaglianza sociale (un domani tali tecniche potrebbero essere rese accessibili a tutti) o perché salta a pie' pari l'elaborazione etico-razionale concernente operazioni di tal genere, necessariamente dialogica e dialettica e che va democraticamente estesa al vasto pubblico. Ma è immorale, innanzi tutto, perché proprio non si pone un criterio di ordine intrinseco nelle priorità d'intervento della ricerca scientifica, che tenda a privilegiare questioni di primaria importanza per il benessere umano a livello individuale, sociale e planetario, del tipo: se e come gli OGM possano effettivamente contribuire a risolvere il problema della malnutrizione, a cominciare dalla desertificazione del pianeta o come favorire la tanto auspicata distribuzion e delle risorse; quali le concause dell'assunzione di droghe ed i possibili rimedi scientifici; e molti altre. Questioni ben abbordabili dal punto di vista della ricerca scientifica, ma neglette perché di non immediata ricaduta economica o "accademica", benché di notevole impatto sul livello della pericolosa conflittualità latente all'interno di società e Stati.
Un esempio: basterà distribuire casse di preservativi - che nei dispensari del terzo mondo i sanitari si ritrovano in abbondanza, al posto però di qualsiasi altro stupido farmaco salva-vita - per contrastare l'avanzata verso occidente del fronte di quei Paesi, che di sviluppo vedono solo quello demografico? Alla recente Conferenza della World Trade Organization svoltasi a Doha, gli Stati Uniti e la Svizzera si sono in un primo tempo opposti, proprio in veste di "paladini della ricerca scientifica promossa dalle industrie farmaceutiche", all'approvazione della bozza d'intesa che consente la produzione e diffusione di farmaci senza "diritti d'autore" in Paesi dove la "calamità naturale" (Aids, TBC, malaria) falcidia vite tutto l'anno. La bozza di accordo della WTO recitava: "pur reiterando l'impegno a rispetto dell'accordo può e dovrebbe (dovrà) essere interpretato e attuato in modo da sostenere il diritto dei membri della WTO di proteggere la salute pubblica e, in particolare, di assicurare l'accesso ai medicinali per tutti": e fino all'ultimo giorno "restava un margine di incertezza legato alla coniugazione finale dei versi nel testo - dovrà o dovrebbe?". Ecco, sul filo del rasoio di un vocabolo di ordine squisitamente morale a volte si gioca l'accordo di assise del genere, di cui è bene auspicare la riuscita (se non altro perché la mancanza di successo di un'intesa su regole chiare, va a tutto vantaggio dei più forti che impongono altrimenti quelle a loro più convenienti, come ricordava in loco l'osservatore della Santa Sede).
Come si sa, il vertice della WTO si è poi concluso con l'accettazione anche da parte degli Stati Uniti della massima flessibilità nella tutela dei brevetti farmaceutici dei medicinali per il Terzo Mondo: ma in un caso del genere l'autore della ricerca, lo scopritore della molecola, del farmaco (oltre che spesso proprietario del brevetto), la comunità scientifica internazionale, dico, perché non prende posizione e la manifesta con forza? Certo non è obbligata o non può più ormai, sotto la pressione della necessità di investimenti sempre più ingenti, seguire il nobile esempio di Pasteur o forse mancano agili strumenti istituzionali o le "agorà" per farlo. Può darsi, dato che la sana distanza tra scienza e politica scientifica si è assottigliata troppo o allargata a dismisura; certo è che poi non c'è da meravigliarsi, se risultano poco simpatici all'opinione pubblica quegli scienziati che alzano la voce e raccolgono firme per protestare solo contro i tagli dei fondi o altri fantomatici lacci alla libertà di ricerca (eclatante il caso delle cellule staminali embrionali).
Sono solo problemi politici? No, sono problemi scientifici, accostabili e risolvibili scientificamente: il fatto che i ricercatori italiani, americani, inglesi, francesi, tedeschi, australiani e così via, non si candidino a trattarli e possibilmente risolverli, fa arretrare sensibilmente la loro linea di autonomia e d'incisività a livello socio - politico. Il farsi carico di questi problemi, da parte del mondo della scienza, non solo non esula affatto dalla sua dignità e dai suoi compiti, ma permette di ribaltare il problema del "controllo democratico sulla scienza": la vera scienza, assumendosi in pieno le sue responsabilità ed anche altre che non le competono immediatamente e direttamente, può rivestire il ruolo di protagonista autorevole in una società apparentemente democratica, che si serve, invece, delle tecnologie o delle paure ad esse correlate, per imporre un'omologazione totalitaria di culture, mercati e standard di vita (recente il di quel Ministro che fece abbassare in Italia il limite delle onde elettromagnetiche a 0,50, dai 100 microtesla universalmente accettati dalle comunità e istituzioni scientifiche, soddisfatto di creare allarmismi e incidenti diplomatici).
Ma torniamo agli OGM, un campo nel quale francamente i ricercatori europei hanno dimostrato sia il loro valore che la loro volontà di approfondire ogni possibile ricaduta, accogliendo il principio di precauzione con estremo equilibrio: dandone cioè una interpretazione razionale e non ideologica. Fatto sta che i risultati oggettivi finora ottenuti "in campo" stentano ad essere accolti e tanto meno pubblicizzati. Eppure si è registrato un notevole sforzo nella loro diffusione, con i classici strumenti di cui disponiamo: assise scientifiche e pubblicazioni, manifestando aperta disponibilità a tenere in conto l'elemento squisitamente etico, che certo non si può riduttivamente far coincidere solo con la sicurezza alimentare e la tutela ambientale. Problemi reali che necessitano tuttavia dello sviluppo di tecnologie innovative che ne possano consentire l'attuazione. E' stato quindi affermato che, sotto la pressione di due forti spinte (la necessità di sfamare più della metà della popolazione mondiale in aumento, coltivando superfici non più incrementabili, e quella di diminuire l'impatto ambientale di tutte le tecnologie, a cominciare da quelle agricole), è prevedibile nel prossimo futuro la comparsa di varietà di OGM "di seconda generazione", più attente alla qualità ed all'ambiente. Sia che si tratti di animali GM produttori di farmaci, che di pesci o di varietà vegetali; gli effetti dell'innovazione tendono ad andare nella direzione di influenzare positivamente la qualità intrinseca, sanitaria ed ambientale(evitare l'uso di pesticidi, neutralizzare nuovi resistenti agenti patogeni fungini etc.) come pure il risparmio energetico e del prezzo unitario del prodotto.
Si tratta insomma di una più oculata gestione delle risorse biologiche, che non eviti però una domanda semplice ma fondamentale dal punto di vista etico: a che scopo? A beneficio dei pochi che possono permettersi gli OGM o delle poche multinazionali che le producono, per accrescere ulteriormente il benessere dei più fortunati?
Che la crescita economica vada integrata con altri valori e la proprietà privata abbia anche una funzione sociale cui assolvere, sono criteri che sembrano ormai circolare nel comune sentire (pur appartenendo alla dottrina di quella Chiesa, che spesso viene fatta passare come ostile alla scienza ed alla società civile); certo sono assai più difficili da travasare sul piano operativo e legislativo.
Ma anche qui: come si pone la ricerca scientifica, le cui motivazioni di fondo ormai oscillano senza pudore dal generico bene dell'umanità al ben più concreto risvolto economico? Attenzione però: il sacrosanto principio che il ricercatore debba beneficiare degli utili economici della sua ricerca (che gli USA per primi formalizzarono con una legge, in una prima fase favotì una forte espansione della ricerca), viene ormai tout-court interpretato con parametri non - scientifici (e la ricerca di base?) e a - culturali (e le scienze umanistiche?). Copiato poi in condizioni diverse, ha acquisito come "logica" conseguenza che solo una ricerca con ricadute economiche è utile, e come pernicioso corollario che un ricercatore o un centro di ricerca che non fornisca un "prodotto" valutabile in precisi termini economici, è giusto che si ritrovi asfissiato e paralizzato dalla mancanza di risorse. A tutto vantaggio naturalmente di tecnocrazia e plutocrazia già imperanti. Rimane vero il fatto che devono essere create le condizioni, tecniche legislative ed economiche, per un maggiore sviluppo della ricerca, pubblica e privata.
Ecco il vero banco di prova dell'autonomia della ricerca scientifica, piuttosto che non la teorica "libertà di fare tutto ciò che è tecnicamente possibile": postulato che pone la tecnologia, più che la vera scienza, come un assoluto, un sistema auto-referenziale sciolto (solutus) da (ab) qualsiasi responsabilità o confronto con altri sistemi: sistema dei valori, sistema sociale, sistema delle istituzioni, sistema legislativo e così via. Andare in cerca dell'autosufficienza del sistema scientifico o di qualsiasi altro di cui si voglia imporre il primato sugli altri, dando per scontato che sia impossibile un'armonica gestione comune della loro complessità, è tra l'altro un'evidente mancanza di fiducia nell'intelligenza umana, che certo stride con il fondamento razionale su cui ogni scienza si basa.
Tornando all'esempio del settore OGM: è chiaro che l'efficace monitoraggio e la reale valutazione di eventuali rischi a medio e lungo termine, la tutela della bio-diversità come bene culturale, la valorizzazione delle biotecnologie proprio per il recupero ambientale, sono tutte attività di ricerca che hanno bisogno di supporto sia scientifico che finanziario ed amministrativo.
Spero appaia altrettanto chiaro, che è necessario ritrovare un cordiale positivo rapporto tra scienza, etica e politica della ricerca.
ROSALIA AZZARO PULVIRENTI
Ricercatore di filosofia presso l'Istituto di Studi Socio-Economici sull'Innovazione e Politiche della Ricerca (già ISRDS) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Membro della Commissione di Studio sulla Bioetica del CNR.