Centro Interuniversitario

del germoplasma mediterraneo

VI Convegno Nazionale su:

''Biodiversità: Opportunità di Sviluppo Sostenibile"

Bari, 6-7 settembre 2001

"Etica e Biodiversità"

Donato Matassino1, 2

1 Cattedra di Miglioramento genetico degli animali in produzione zootecnica - Dipartimento di Scienze
zootecniche e Ispezione degli Alimenti - Sezione Tito Manlio Bettini - Università degli Studi di Napoli
Federico II’ - 80055 Portici (NA) - Italia.
Tel. (+39 81) 7766093-7752622 - Tf. (+39 81) 7762886; email: matassin@unina.it;
Internet: www.mgapz.unina.it

2 Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative
(ConSDABI)-National Focal Point italiano della FAO (NFP.I - FAO) per la salvaguardia del germoplasma animale in via di estinzione - Azienda Casaldianni - 82020 Circello (BN) - Italia.
Tel. (+39 824) 938211 - Tf. (+39 824) 938213; email: consdabi@galactica.it;
Internet: www.consdabi.org
 

 

Sommario

1.Introduzione. 2.Complessità. 2.1.Etica della 'complessità'.

3.Etica ambientale e biodiversità. 4.Conclusioni. 5.Bibliografia.

1. Introduzione

Il tema da trattare è di una complessità direi infinita, di attualità e di grande valenza sul piano filosofico, giuridico e operativo. Esso, indubbiamente, va inquadrato nel contesto del presente che, a sua volta, viene inserito nella cosiddetta 'età' postmoderna'. Fase storica, questa, caratterizzata da rapidi e multiformi cambiamenti che hanno messo in crisi i vari sistemi basati precipuamente su ideologie che hanno generato modelli sociali variabili che 'faticano' a individuare soluzioni condivisibili in grado di inglobare l'intera società umana presente sul pianeta terra.

Nei rapporti fra le diverse comunità di uomini si stanno evidenziando, sempre di piú, la multieticità, la multiculturalità e la multietnicità. Ciò rende sempre piú complesso il sistema 'vita dell'uomo' sul nostro pianeta.

2. Complessità

Si può dire che la parola 'complessità' sia diventata un sostantivo 'magico' e, come tutte le magie, un qualche cosa di misterioso e dalla molteplice interpretazione. Infatti, credo che vi sia la consapevolezza che la sola forza della ragione vacilli nei confronti dell'insieme della compagine di problemi culturali, politici, educativi ed etici, i quali caleidoscopicamente assillano il quotidiano, ma - forse - maggiormente il futuro del singolo e della comunità cui egli appartiene. Si ritiene che l'uso della parola 'complessità' serva a meglio poter affrontare l'attualità della vita caratterizzata da elevati livelli sia di caos sia di trasformazioni repentine e multidirezionali.

Forse, il problema principe dell'inizio di questo nuovo millennio sarà come ricostituire una certa 'enciclopedia' dei saperi al fine di dare risposte concrete, serie e disinteressate alla 'complessità'. La stessa lettera enciclica 'Fides et Ratio' (1998) di Govanni Paolo II, fra l'altro, pone il problema della conoscenza di ‘te stesso’ e dei rapporti tra fede e ragione al fine di individuare nel marasma della vita, specialmente odierna, percorsi consoni a una continua scoperta dell'esistente per esaltare al massimo quella mirabile capacità dell'uomo che è la sua ' autocoscienza personale'; infatti, scrive Giovanni Paolo II che piú l'uomo conosce la realtà piú conosce se stesso nella ‘sua unicità’. D'altronde il monito 'conosci te stesso' era scolpito sull'architrave del tempio di Delfi a testimoniare che, solo perseguendo questo fine, l'uomo può acquisire elementi basilari per imprimere alla sua esistenza un orientamento saldo verso mete dinamiche ma collimanti con la sua funzione di amministratore savio della natura.

La parola 'complessità' è un 'continuum' oggetto di discussioni e di teorie; fra gli altri, ne hanno ampiamente trattato: Bateson, Einstein, Luhman, Morin, Pareto, Parsons, Prigogine, Spencer, Varela, von Foerster, i quali hanno evidenziato la limitatezza e l'unilateralità delle concezioni razionali in chiave lineare e meccanicistica. In sintesi, le diverse teorie considerano che la 'complessità' sociale sia caratterizzata da una specie di parallelismo fra:

(a) progresso, conoscenza, vita, umanità, evoluzione

e

(b) caos, perturbazioni, disordine, instabilità, squilibrio, turbolenza, non linearità, marginalità e frattalismo.

Numerosi, pertanto, sono i tentativi di definire questa parola; ne ricordiamo qualcuno:

- 'La complessità è la proprietà di un sistema modellizzabile suscettibile di mostrare dei comportamenti che non siano tutti pre-determinabili (necessari) anche se potenzialmente anticipabili (possibili) da un osservatore intenzionale di questo sistema' (P. Valéris, letterato);

- 'La complessità non è quel male assoluto che la bella razionalità francese bracca nel nome della chiarezza, dell'omogeneità e dell'universalismo. Al contrario, è il riconoscimento della ricchezza della diversità delle organizzazioni di ogni dimensione e natura' (J. Melise).

Morin afferma che la 'complessità' è l'origine delle teorie scientifiche e, secondo Küng, 'le teorie scientifiche sono organizzate a partire da principi che non dipendono assolutamente dall'esperienza'.

La 'complessità' è un vero e proprio 'sistema complesso' in quanto:

(a) è da delimitare, di volta in volta, nei suoi confini

(b) è da conoscere nelle sue componenti qualitative e quantitative e nelle loro interrelazioni

(c) è flessibile e variabile spazialmente e temporalmente perché strutturalmente instabile

(d) ha capacità al costruttivismo differenziata per effetto del grado di informazione del tempo e dello spazio

(e) è fortemente autoregolatore, omeostatico, per cui può produrre nuove combinazioni fra le parti costituenti che possono dare origine a dinamici peculiari 'status' le cui regole di funzionamento possono mutare nel tempo e nello spazio come, a esempio, il sistema 'genoma' per effetto delle continue nuove combinazioni geniche (grazie anche ai geni trasposoni) e delle mutazioni selettive

(f) non è un modello lineare: assenza di proporzione tra causa ed effetto

(g) alla luce delle precedenti caratterizzazioni, è 'imprevedibile' nel senso che esso non è totalmente 'computabile', perché può essere considerato una vera e propria 'struttura caotica deterministica'

(h) ha una sua 'singolarità': è un 'universo soggettivo' non riducibile a mero oggetto di riduzionismo, ma discernibile e con una sua propria 'alterità';

(i) ha una sua specifica pertinenza: 'dialogare' tra le parti componenti.

Qualsiasi 'sistema complesso', identificabile con il singolo essere vivente, può esplodere o implodere in funzione dell''essere', del 'poter essere' e del 'dover essere'. Queste tre diverse condizioni, specialmente con riferimento alla persona umana, richiedono profonde e articolate riflessioni che obbligatoriamente conducono a 'canoni etici'. Tra questi ultimi si potrebbe ipotizzare un 'federalismo biologico' in grado di 'riconferire' importanza e dignità alle 'autoctonie', cioè alla 'biodiversità antica autoctona'. Questo 'federalismo biologico' configura ‘un nuovo soggetto nel mondo del diritto per la contestuale presenza di quegli elementi che determinano la rilevanza giuridica di un bene e che consentono di riconoscerne la giuridicità’.

La diversità 'biologica antica autoctona' può essere identificata con la 'forma' aristotelica, cioè la realtà. Questa può essere pensata come il binomio statico 'materia e forma' che si concretizza in quello dinamico 'potenza e atto'. La 'potenza' è la idoneità della materia a svilupparsi in una determinata forma. L''atto' è la realizzazione di una data potenza e si concretizza nell''entelèchia', cioè nello stato di perfetta attuazione raggiunto dalla sostanza. Il passare dalla 'potenza' all''atto' non può essere considerato come un evento 'definitivo', ma ogni istante del divenire altro non è che l'attuazione di un precedente istante di potenza. Pertanto, tutto ciò che è presente nel cosmo (pianeta terra compreso) può identificarsi con un processo dinamico nel tempo e nello spazio.

2.1. Etica della 'complessità'

Esiste una etica della complessità?

Prima di tentare una risposta articolata, diamo una brevissima definizione di etica.

L'etica viene intesa come quella branca della filosofia che si interessa in -'senso ampio' - 'di qualsiasi aspetto del comportamento umano riguardante la sfera politica, giuridica o morale, e in -'senso stretto' - 'della sfera delle azioni buone o cattive' indipendentemente da quanto normato giuridicamente.

Nell'ambito della riflessione sulla morale, vi è una tendenza a considerare come 'etica' 'una filosofia prevalentemente pratica, impegnata in difesa di determinati valori' e come 'meta-etica' 'una filosofia con pretese prevalentemente teoretiche e conoscitive'.

Non essendo questa la sede per discettare su questo settore della filosofia, né chi parla ha le competenze adeguate in merito, riprendiamo a riferire su argomenti propri di questa relazione

Si può ritenere che l'etica della 'complessità' sia un'etica che debba coinvolgere l'uomo 'tout court' nella sua totalità; totalità che include, quindi, l'uomo considerato sotto gli aspetti biologici (corpo) e spirituali nel significato piú ampio.

L'etica della complessità ha, pertanto, bisogno di un substrato che è identificabile con la metafisica, nel senso di necessità nell'individuare percorsi di vita basati sull'innamoramento della possibilità di cercare e di attuare sistemi di convivenza pacifica. Certo, questa scelta contrasta totalmente con il darwinismo sociale.

La ricerca scientifica, credo, non sia da considerare in contrapposizione all'attuazione di uno 'status' di pleròma nella vita dell'uomo considerato come componente del macrosistema 'cosmo'; uomo caratterizzato dalla sua 'unicità' in comunione armonica con la sua 'alterità'.

L'unicità può essere identificata nella 'persona' (uomo) o nel 'soggetto' (qualsiasi componente il cosmo; uomo compreso).

Considerando che per S. Paolo il pleròma è la 'pienezza dell'essere', qualsiasi 'realtà' ha il diritto di essere riconosciuta per ciò che a essa è dovuto in un rapporto di 'armonia globale'. L''armonia globale', identificabile con la 'complessità', non può che rispondere ai canoni dell'impostazione sistemica, come già detto. Nella 'pienezza' sono impliciti due concetti: la 'soggettività' e il 'valore', i quali possono anche interessare in modo indipendente una realtà. Pertanto, la filosofia del pleròma comporta una scelta di valori pur nel rispetto della soggettività. La tutela del pleròma non potrà, pertanto, essere realizzata su concetti di linearità, ma di 'complessità'.

Operando secondo la filosofia del pleròma, è possibile inserire pienamente nel sistema 'vita dell'uomo' l'etica ambientale ('environmental ethics') di cui parleremo successivamente.

A meno titolo di esempio, si ricorda che già nel 450 a.C., la questione ambientale era presente nella gestione governativa: Artaserse I normò la utilizzazione delle foreste di cedro del Libano, imponendo tutta una serie di limitazioni nel taglio di questa specie. Non è dato sapere, storicamente, almeno fino a oggi, le motivazioni di questa normazione; si può ipotizzare l'eventuale conseguenza negativa del disboscamento sui cambiamenti climatici e sull'erosione del suolo, quindi il verificarsi di processi di desertificazione.

Negli ultimi 3-400 anni si è avuto un continuo incremento della sensibilità dell'uomo verso un approfondimento del concetto 'protezione della natura'. Specialmente nel 19. secolo, grazie al geografo esploratore tedesco von Humboldt che formulò la tesi dell''interdipendenza tra l'umanità e le altre forze dell'universo', si accentua sempre di piú l'attenzione verso i rapporti 'uomo-natura', prendendo particolarmente in considerazione la filosofia indù di una visione 'olistica' dell'universo.

Sempre nel 19. secolo, prende corpo, nella comunità scientifica ambientalista, il potenziale pericolo di estinzione delle specie viventi sul pianeta terra (compresa quella umana), sebbene Darwin ponesse questo fenomeno nella dinamica della selezione naturale. E' difficile stimare il tasso di estinzione naturale delle specie viventi. Indubbiamente, esso è variato nel corso delle ere geologiche. Wilson stima, nel 1988, una frequenza di 17.500 estinzioni per anno su una valutazione di specie viventi variabile fra i 4 e 10 milioni.

Contrariamente a qualsiasi previsione catastrofica degli ambientalisti del 19. secolo, la popolazione umana è passata dai circa 5 milioni di individui (10.-12.000 anni fa) ai circa 150 milioni del 3.000 a.C. ai circa 250 milioni alla nascita di Cristo (valore piú o meno invariante sino al 1.000 d.C.) ai circa 450 milioni nel 1.500 d.C. a circa 1 miliardo nel 1.800 d.C. a circa 1,6 miliardi nel 1.900 d.C. a circa 2,5 miliardi nel 1950 d.C. a circa 6 miliardi del 2000 d.C..

Interessante è l'analisi compiuta da Küng qualche decennio fa nel suo 'Progetto per un'etica mondiale'.

Si ricorda che già Carlo Magno impose per legge agli agricoltori l'obbligo di coltivare 90 specie di piante in via di estinzione per evitarne la scomparsa.

La conflittualità, specialmente su base ideologica, è stata sempre foriera di eventi catastrofici; viceversa, il dialogo e l'integrazione sono le condizioni necessarie, anche in biologia, per esaltare la 'capacità al costruttivismo' di una biocenosi di cui l'uomo è parte integrante in qualità - come dice S. Agostino - di curatore e amministratore sensibile ai messaggi e alle istanze che gli pervengono dalla natura stessa per favorirla nel mantenimento di un equilibrio dinamico.

La 'complessità' è da far emergere in tutti gli aspetti dell'esistenza, specialmente nella gestione della problematica della globalizzazione nel significato piú ampio possibile; globalizzazione che va perseguita con l'insostituibile ausilio della 'solidarietà' che altro non è che l''alterità'.

L'estremizzazione della visione centralistica del mondo, secondo cui 'l'uomo è misura di tutte le cose', ha portato negli ultimi decenni, piú che mai, a considerare la natura, intesa nel suo insieme di sistemi biologici, come assolutamente dipendente dall'uomo e, pertanto, 'perfettamente adattabile' alle sue esigenze. Tale gestione del patrimonio naturale ha condotto in molti casi a scelte sconsiderate che hanno tenuto conto solo del profitto del momento senza badare ai possibili risvolti futuri e senza tener conto della sostenibilità ambientale di tali scelte.

Forse siamo all'epilogo di un periodo caratterizzato da forti 'confronti-scontri' fra culture diverse e dal sorgere di nuovi diritti dell'essere umano e di tutti gli altri esseri viventi, quindi nuova visione del sottosistema 'pianeta terra' inserito nel sistema 'cosmo'. Pertanto, questa tendenza culturale sta determinando una profonda revisione della epistemologia (termine coniato dal filosofo scozzese J.F. Ferrier nel 1854), cioè dello studio dei fondamenti e dei metodi della conoscenza scientifica. La stessa impostazione meramente epistemica, cioè accentuazione del solo momento conoscitivo e positivo di contro a quello critico, è in una fase di profonda revisione. E' in atto un intimo, intenso e arcano tormento nel pensare e nell'individuare nuovi modelli comportamentali in grado di interpretare la realtà umana, sociale e fisica. E' palpabile la crisi, forse irreversibile, che inonda un modello fondato prevalentemente sulla sola conoscenza scientifica che si considera l'unica 'esatta' e 'positiva' nell'organizzazione dei 'saperi' e delle 'conoscenze'. Ciò sta a significare che è in atto una revisione critica del modello epistemico di Francesco Bacone, tendente a privilegiare la 'finalità pratica e operativa del sapere', quindi a conferire all'uomo il dominio sulla natura previa una conoscenza basata sul valore dell'esperienza e non sulla mera descrizione della natura stessa; in questo contesto forte è la critica baconiana a tutto ciò che pregiudizievolmente influenza il sapere scientifico; critica che si concretizza nei noti 'idola' baconiani. Lo stesso si può ipotizzare nei confronti del pensiero cartesiano (Descartes): ideazione di un sistema universale, nel quale 'da un principio assolutamente certo si possono dedurre tutti i principi delle singole scienze'. Questo principio di certezza è nell'’io’; da questa identificazione scaturiscono il 'soggettivismo' moderno e il 'razionalismo', quindi l'’io penso’ quale soggetto e oggetto contemporaneamente. Non è da dimenticare l'influenza di Galileo nella quantificazione matematica degli eventi naturali qualunque sia la categoria interessata, purché osservabile e misurabile; pertanto, queste categorie possono comprendere, fra l'altro, quelle proprie della psiche e dei processi socio-culturali.

Certamente un modello epistemico non sembra utilizzabile per rispondere alle infinite istanze di 'conoscenze' avanzate da una società attuale fortemente individualista e sempre piú complessa e avida di soddisfazioni edonistiche, in quanto esso ha favorito una visione – prima - e un intervento antropico – poi - tendenti a considerare 'scientificamente e operativamente domabile' la natura.

3. Etica ambientale e biodiversità

Il rispetto dell'ambiente richiederà sempre di piú un'attenzione preminente, pur nell'ottica dell'incremento delle produzioni per soddisfare le esigenze in nutrienti di una popolazione che, non solo aumenta numericamente, ma vuole che migliorino continuamente le qualità nutrizionali del cibo. Nel mondo industrializzato il concetto di 'risorsa' è identificato con quello di qualcosa da sfruttare, mentre sarà necessario considerarla come un bene da tutelare, da conservare e da utilizzare con oculatezza programmatoria.

Sappiamo che al parola 'risorsa' è derivata dal francese 'ressource' che, a sua volta, deriva dal latino 'resurgere' (= risorgere). La risorsa può essere definita 'qualsiasi fonte o mezzo che volga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specialmente in caso di necessità'.

E' noto che, con l'avanzare del processo di globalizzazione nel campo culturale e socio-economico, la risorsa 'naturale' sta assumendo un ruolo sempre piú importante, se non insostituibile, e, presumibilmente, sarà l'unico mezzo in grado di affrontare in chiave risolutiva gli innumerevoli problemi che interessano l'umanità del pianeta terra ai fini di realizzare un sistema socio-economico sempre piú proteso verso traguardi dinamici, spazialmente e temporalmente, propri di uno sviluppo 'sostenibile' . La sostenibilità di qualsiasi processo socio- -economico è realizzabile solo sulla 'tutela' di qualsiasi risorsa naturale; 'tutela' che comprende la individuazione, la conoscenza, la conservazione e la valorizzazione della predetta risorsa.

Si sta diffondendo la consapevolezza della necessità del 'rispetto dell'ambiente' pur nell'ottica dell'incremento quali-quantitativo delle produzioni per soddisfare le esigenze in nutrienti ai fini del raggiungimento del benessere psico-fisico e sociale dell'uomo (human welfare state e well being); quest'ultimo può essere rappresentato da un mandala quale esemplificazione di una visione sistemica in cui vari fattori, tra i quali la 'risorsa genetica'  e il 'territorio rurale',  interagendo, contribuiscono al raggiungimento dell'obiettivo 'benessere uomo' (figura I).

Da qui la necessità di incrementare, a esempio, i tipi genetici autoctoni da utilizzare per soddisfare le diverse e nuove esigenze delle popolazioni umane. E' in atto un forte processo irreversibile di consapevolezza, da parte dell'uomo, del diritto della propria esistenza e di quella del pianeta terra, senza rinunciare ai benefici acquisiti o acquisibili con le nuove scoperte scientifiche. Tutto ciò si ripercuote anche sulle scelte degli stili di vita, diversificati per cultura e per tradizione. Proprio il settore agro-alimentare può costituire un esempio pilota per il miglioramento e per la salvaguardia dell'ambiente. Indubbiamente, il bisogno di ridurre l'inquinamento sarà la matrice dell'invenzione e della ricerca di nuove soluzioni.

La politica ambientale deve essere non l'arte del 'possibile' ma l'arte di rendere attuabile ciò che è 'necessario'.

Il futuro del pianeta terra sarà il risultato delle modalità con cui l'uomo plasmerà e gestirà il quotidiano oggi.

Non sembri una contraddizione, ma, grazie all'uso di biotecniche innovative (BI), sarà possibile affrontare e risolvere la complessa problematica della tutela della biodiversità connessa alla salvaguardia e alla moltiplicazione del germoplasma in via di estinzione. Forti sono oggi l'attenzione e l'operosità della FAO nei confronti di queste problematiche per i loro riflessi sia sulle possibilità di sviluppo di vaste aree depresse socio-economicamente sia per ridurre fortemente i fenomeni di desertificazione connessi, fra l'altro, a un pericoloso trend di riduzione della biodiversità. Non è e non sarà possibile alcun progresso nell'uso di BI ai fini produttivistici se continuasse la tedenza attuale di perdita di biodiversità .

La rivoluzione culturale in corso, nella visione e nella gestione del territorio, può essere considerato l'avvenimento piú importante, in un approccio storico, dell'inizio del terzo millennio. Questo cambiamento interesserà tutti i diversi momenti della vita di una comunità di uomini e, probabilmente, sarà la grande 'novità' del 3. millennio. Il realizzarsi di questa interdipendenza fra ambiente e sviluppo sostenibile comporterà profondi mutamenti dell'ordine politico, legislativo, sociale, economico, istituzionale, tecnologico, ecc.. Indubbiamente, il tutto si realizzerà gradatamente: 'natura non facit saltus'; in piú, l'inerzia è una forza formidabile di qualsiasi attività umana, specialmente se organizzata. L'importante è essere convinti di questo futuro diverso da quello ipotizzabile qualche decennio fa. Futuro che potrebbe, in ultima analisi, essere foriero anche di piú opportunità e di piú benefici; esso è 'nelle nostre mani'. Gli obiettivi sono, infatti, abbastanza delineati sia nel campo animale, sia in quello vegetale che in quello della trasformazione con lo scopo di produrre, a basso tasso d'inquinamento, cibo abbondante e di qualità.

Il binomio 'futuro del cosmo-futuro dell'uomo' sarà sempre piú inscindibile. L'evoluzione sia del cosmo (quindi del pianeta terra) che socio-culturale dell'uomo può essere interpretata come un fine intrinseco dello sviluppo dell'universo. Questa interpretazione non vuole essere una maniera diversa di contrapposizione all'evoluzionismo darwiniano; essa è piú interessante della mera memoria dell'evoluzionismo biologico. Infatti, l'evoluzionismo del cosmo e del pianeta terra sono in parallelo a quello antropico. L'uomo è una componente, fondamentale, del sistema. Egli è l'artefice 'principe' del cambiamento. L'avvenire dell'uomo è fortemente legato a quello del cosmo. La 'capacità al costruttivismo' sia dell'uomo che degli altri esseri viventi è la 'chiave di volta' per un armonico e sano evoluzionismo del pianeta terra e del cosmo, quindi dell'uomo. Pertanto, da una concezione statica si passa a una dinamica grazie all'attività di propulsione dell'uomo; attività che deve concretizzarsi nel ruolo di protagonista serio e consapevole del suo operato.

Il rapporto 'uomo-natura' ha chiaramente influenzato i cambiamenti verificatisi con l'evoluzione della civiltà.

Si può ritenere che esiste un rapporto primigenio tra uomo e natura; rapporto che li 'coinvolge' reciprocamente, ma, per quanto mi riguarda, con un'attribuzione ontologica privilegiata all'uomo, se non di carattere 'numinoso'. Questa visione è ampiamente giustificata anche dall'abissale differenza tra la vita dei viventi secondo la 'natura' e la vita dei viventi secondo la 'natura umana'; la seconda ha la capacità e il dovere di individuare nello spirito del pleròma, richiamato anche da S. Paolo, la soluzione migliore del rapporto 'uomo-natura', in quanto l'uomo è portatore di una scienza 'antica': la sapienza.

Operando con sapienza, l'uomo può distinguere, sulla base della concezione hegeliana,  una 'natura in sé' da una 'natura per noi', conscio che la prima non potrà mai essere totalmente inglobata nella seconda, se mai è la 'natura per noi' che, se non gestita con lungimiranza e con 'amore', può ritornare alla 'natura per sé'. Indubbiamente, quest'ultima ha avuto un grande ruolo e significato vitale per i nostri antichissimi antenati.

Infine, sarebbe illusorio da parte dell'uomo trasferire 'sic et simpliciter' le acquisizioni proprie della 'natura per noi' alla 'natura in sé'.

La problematica connessa al rapporto fra conservazione dell'agroecosistema 'naturale' e gestione dell'agroecosistema 'culturale' (antropico) deve innescare processi comportamentali antropici tendenti a unire e a integrare gli interventi, piú che a dividerli, al fine di perseguire il raggiungimento di obiettivi comuni; obiettivi che non possono essere racchiusi in una mera visione teleonomica monodiana della vita sul pianeta terra, né in una semplicistica visione teleologica del cosmo che figurativamente è identificabile con un vero e proprio caleidoscopio di realtà e di organizzazione.

E' indubbio che l'attività dell'uomo (dominio dell''Homo sapiens') è foriera di cambiamenti molto piú repentini e globali di quelli che opera la 'natura' con i suoi peculiari tempi di lentezza, di gradualità e di 'localismo'. Da una vasta continua profonda riflessione su questo dualismo comportamentale è scaturita l''etica ambientale' ('environmental ethics') che, ormai, costituisce una scienza gemmata dalla filosofia morale. Questa etica si occupa di individuare e di definire regole dinamiche, nel tempo e nello spazio, che devono essere adottate tutte le volte in cui un'azione antropica ha effetto diretto o indiretto sull'intorno biologico e/o abiologico. Un apporto notevole all'individuazione di un rapporto 'uomo-natura' meno portatore di contrasti è venuta dall'opera di Leopold (conservatore di foreste negli Stati Uniti d'America) quando parla di storia naturale 'rurale' e suggerisce una profonda revisione nella gestione della 'terra' nel senso di utilizzazione di questa con il fine di una seria 'conservazione'; quindi, 'la terra' è una 'comunità' a cui l'uomo appartiene e ove egli deve 'abitarvi senza saccheggiarla' e, pertanto, è necessario sviluppare fortemente il concetto di una vera e propria 'Land Ethics', le cui fondamenta sono i continui 'saperi' sui rapporti fra le diverse 'componenti' o 'variabili' di un 'ecosistema'.

L'impostazione 'leopoldiana' non è, a mio parere, condivisibile quando considera l'uomo semplice 'cittadino biotico'; viceversa, è condivisibile quando essa afferma che 'una cosa è giusta (corretta eticamente) quando tende a preservare l'integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica, mentre è illecita quando tende nel verso opposto'.

L’intensificazione della globalizzazione dell’economia e degli eventi culturali e delle migrazioni umane sollecita l’uomo a individuare nuovi percorsi comportamentali che dovranno privilegiare: la convergenza dei diversi ‘saperi’ e il confronto critico tra punti di vista diversi e antitetici. Tutto ciò al fine di edificare la comune 'città possibile'; città che non può identificarsi con la ‘Cyber Urbes’, nella quale viene a mancare qualsiasi legame di tipo ‘geo-psichico’ e ‘culturale’ con il territorio, quindi con la storia di ciascuno di noi inserito in un contesto sociale e dinamico, ma fortemente ancorato alle tradizioni peculiari di un dato territorio. In altri termini, urge ‘il colloquio’: ‘mettere in comune’, su base argomentata, le motivazioni semantiche in grado di traghettare la società in questo contesto di crisi di valori e di identità, utilizzando ‘al meglio’ sia le diversificate competenze esistenti sia le tradizioni di pensiero.

Senza tema di smentita, sono da condannare tutte le soluzioni basate su: ‘arroccamento solipsistico’, ‘sapere riduzionistico’, tentazione estremistica e fondamentalismo.

L'etica ambientale è stata definita, fra l'altro, 'l'insieme dei principi etici in base ai quali regolare la relazione tra l'uomo e la natura'. Pertanto, l'etica e la natura non sono piú due 'categorie' diverse, quindi la gestione della seconda, richiede da parte dell'uomo, forte riflessione etica. La problematica ambientale riflette fortemente il dibattito sulla filosofia ambientale, specialmente di tradizione anglo-sassone.

Data l'importanza che stanno assumendo questa branca della bioetica e la sua forte interdisciplinarietà, sempre piú nutrito è il numero di studiosi delle diverse discipline interessati all'argomento. Pertanto, non si può pensare che la soluzione della 'complessità ambientale' possa essere affidata a una scienza: 'ecologia', in quanto la gestione dell'ambiente è talmente 'complessa' che trascende notevolmente dalle competenze degli scienziati dell'ambiente.

Potter nel coniare la parola 'bioetica' ha avuto la felice intuizione della necessità di non considerare avulsa dai rapporti fra gli individui l'importanza della tutela della biosfera: solo da una relazione armonica fra 'uomo' e 'natura' può scaturire una possibilità di vita consona a soddisfare le varie esigenze per le future generazioni. Una delle definizioni della bioetica è 'lo studio sistematico delle dimensioni morali, comprensivo sia della visione morale, sia delle decisioni, sia della condotta, sia delle politiche circa le scienze della vita e della salute, che utilizza una varietà di metodologie etiche con una impostazione interdisciplinare'.

Si deve a Jonas l'introduzione del concetto 'Il principio della responsabilità', che deve sempre integrare quello della 'libertà'.

E' noto che in ecologia vi è un marcato pluralismo etico che, d'altronde, è tipico della nostra società. Il problema etico non è solo quello inerente al rischio del 'benessere' dell'uomo, ma esso si sta ampliando nel considerare la funzione dell'uomo come soggetto biologico dell'intero sistema ambientale.

Il Bartolammei sottolinea con forza che l'uomo non può essere considerato un semplice 'cittadino biotico' (concezione leopoldiana, come già detto) in quanto ciò comporta l'esclusione dell'uomo quale  soggetto morale.

Le stesse teorie dei 'diritti della natura' o dei 'diritti degli animali  e degli esseri viventi non umani' sono, a mio avviso, di difficile condivisione. Infatti, è l'uomo che con il suo intervento essenziale e prioritario è l'unico in grado di discernere e stabilire, quindi, diritti diversificati al fine di realizzare quel sistema di vita armonioso che si può identificare con un'amministrazione illuminata' dell'ambiente nel suo significato piú ampio.

Una realtà è difficile da confutare: l'interdipendenza fra uomo e altri componenti la natura.

Le prime riflessioni risalgono al 1974 (Blackstone, Stone e Postmore). In sintesi, questo pluralismo è conducibile a due correnti di pensiero: 'Anti-antropocentrismo' e 'Antropocentrismo'; la prima  comprende: Etica della terra, Ecocentrismo, Biocentrismo  e Etica dei diritti della natura, Ecofemminismo  e 'Deep Ecology Movement', Pluralismo; la seconda: Antropocentrismo forte   e 'cow-boy ethics',  Antropocentrismo moderato, Utilitarismo, Etica della responsabilità, Etica ambientale cattolica.

Dato il contenuto dell'incontro odierno, non è il caso di approfondire questo pluralismo. Tuttavia, il 'principio di responsabilità' verso l'esistente e, ancora piú, nei confronti delle future generazioni può essere il minimo comune denominatore delle varie teorie.

Parafrasando alcune riflessioni della Battaglia, è possibile riconosere uno 'status' morale a tutti i componenti del cosmo?' Limitatamente alla biosfera del pianeta terra, 'egualitarismo interspecifico' può ritenersi davvero il postulato piú idoneo per estendere i confini della comunità morale'? La risposta potrebbe essere in quella branca della filosofia morale di oggi che è l''etica della cura'.  Questa etica, però, coincide con il noto imperativo morale dell''alterità' o del 'prossimo' umano o della solidarietà, cioè di 'preoccupazione per il benessere di un altro' senza riscontro di 'reciprocità '.

Il rapporto 'uomo-natura' può essere considerato del tipo 'odio-amore': piú l'uomo gestisce la natura, piú la conosce, ma piú questa evidenzia la sua imprevedibilità e/o la sua contrapposizione; pertanto, possiamo ritenere che questo rapporto dalle origini nebulose rimarrà sempre conflittuale, entro certi limiti, ma aperto continuamente a nuove e dinamiche soluzioni.

Per quanto mi riguarda, condivido quella che viene ritenuta una posizione 'antropologica moderata': una modificazione di una 'realtà' naturale è da perseguire se è diretta alla realizzazione del 'bene comune'. Da ciò scaturisce un interrogativo: in che modo e in che misura l'uomo può modificare la suddetta realtà e quali sono i rischi relativi di questa azione? Ancora una volta, probabilmente, bisognerà ricorrere alla soluzione del problema con l'ausilio di un 'sistema complesso' ove alla componente etica va attribuito un 'valore' non epidermico.

Il pianeta terra si sta avviando verso rapporti sempre piú 'virtuali' e sempre meno 'virtuosi' fra ed entro la comunità di uomini. Trattasi di una tendenza che potrà essere foriera di gravi 'guasti' nei rapporti sociali che potrebbero essere 'irreversibili' per un lungo periodo di tempo. Da questa facile previsione scaturisce la necessità, da parte dell'uomo, di impegnare tutto il suo arsenale 'culturale' per ridurre, in prima istanza, e per eliminare, in una seconda fase, gli effetti negativi del 'virtualismo'.

Da analisi di 'sistemi produttivi di nicchia' sono scaturiti comportamenti culturali umani di grande interesse per l'antropologia e per le scienze a questa connesse. Il salto di qualità culturale risiede nel fatto che l'interpretazione della statica e della dinamica antropica di un sistema 'di nicchia' richiede la profonda conoscenza di tutte le variabili del sistema, tra le quali quelle biologiche (diversità, segnatamente) svolgono un ruolo primario nel favorire, in modo diversificato, l'espressione o la manifestazione di quella meravigliosa qualità di ciascun essere vivente che è la sua 'capacità al costruttivismo'.

Non bisogna dimenticare che l'uomo non vive da solo sul pianeta terra, ma con la vita e la diversità biologica che esso ospita ed entro l'ambiente che l'attività di tanti organismi costruiscono.

Al n. 34 della lettera enciclica 'Popularum progressio' di Paolo VI si legge: Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all'uomo che devono servire. E l'uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore'.

La stessa teoria di Gaia considera, correttamente, il pianeta 'terra' come 'un sistema in cui l'evoluzione degli organismi è strettamente legata all'evoluzione del loro ambiente'. La teoria ha una sua base matematica nel modello del 'Pianeta delle Margherite ('Daisy world')'. Grazie alla presenza degli organismi viventi la 'terra' è mantenuta in stato favorevole. Ai fini del funzionamento di Gaia, grande rilievo riviste la sua 'fisiologia' che deve sempre collimare con il persistere di uno 'status omeostatico'. Questo concetto di Gaia, si rifà a quello di Hutton che, oltri due secoli orsono, defini la 'terra'  un superorganismo dotato di tanti e funzionanti 'sistemi autoregolatori' sfocianti in un 'olismo' di antica concezione induista.

Partendo dalla conoscenza dei profondi e fantastici meccanismi biologici operanti in natura, specialmente del germoplasma antico e autoctono, siamo sicuri di contribuire a fornire alle future generazioni umane esempi indelebili di vita di relazione, di vita di solidarietà, di vita sociale; in sintesi, a stabilire un insostituibile connubio tra il recupero, la conservazione e la valorizzazione di germoplasma antico e l’evoluzione culturale di un popolo .

Qualsiasi germoplasma è portatore di civiltà antiche e di vecchi equilibri biologici, la cui funzione e il cui ruolo non è detto che siano finiti, soprattutto in considerazione del comportamento delle singole famiglie geniche, che si concretizza in un vero e proprio processo di conversione genica democratica, con funzione principe di rete di mutazione. Tutto ciò deve significare che è necessaria una migliore conoscenza della flessibilità del codice genetico (DNA), unico e mirabile modello di organizzazione da imitare. Pertanto, il dinamismo delle tentazioni scientifiche deve condurre a individuare un percorso tale che sia incontro di analisi, di esperienze e di programmazione di una nuova cultura della politica scientifica e della gestione del territorio considerato nella sua globalità.

La diversità biologica deve essere considerata anche ai fini della produzione di ‘beni materiali’ o ‘servizi’, quali, ad esempio, i servizi di gestione e presidio ambientale di aree geografiche altrimenti destinate a essere abbandonate, con tutti gli effetti conseguenti. Pertanto, le risorse genetiche autoctone danno un contributo al ‘terziario verde’ di natura non commerciale. L’imprenditore agricolo, grazie alla sua innata propensione all’inventiva, non svolgerebbe piú un ruolo di semplice controllo e di adattamento alle innovazioni messe a punto fuori del contesto in cui egli opera, ma, come tutti gli esseri viventi, ritornerebbe a evidenziare la sua elevatissima 'capacità al costruttivismo'. A tal fine, il recupero e la valorizzazione della diversità possono avere una valenza superiore alla stessa innovazione di processo e/o di prodotto.

La diversità biologica è l'unica che può permettere domani di disporre di geni atti a favorire la 'capacità al costruttivismo' degli esseri viventi in occasione di cambiamenti, oggi imprevedibili, sia delle condizioni ambientali sia delle esigenze in nutrienti dell'uomo. Pertanto, l'efficienza dell'uso delle risorse genetiche come fattore di produzione sarà sempre piú una variabile importante, se non determinante, della competizione o dell'integrazione economica fra i sistemi produttivi territoriali.

La risorsa genetica riveste un ruolo insostituibile, specialmente per quanto concerne le caratteristiche qualitative degli alimenti.

E' merito della diversità biologica il continuo miglioramento qualitativo dell'informazione, quindi del grado di fitness o successo biologico di un dato tipo genetico al variare delle condizioni ambientali. E' la intrinseca divergenza dell'informazione genetica che induce innovazioni, mentre i processi biologici convergenti (differenziamento e sviluppo embrionale) realizzano un progetto genetico legato a informazioni presenti, quindi poco modulabili.

La diversità biologica è lo strumento principe che permette alla natura di sincronizzarsi alla velocità dei cambiamenti ambientali, grazie a complessi e sofisticati meccanismi in grado di modulare la velocità di trasferimento e di adeguamento dell'informazione genetica. Pertanto, la riduzione o l'assenza di variabilità genetica comporta una diminuzione (o scomparsa, nei casi estremi) della capacità omeostatica o di autogoverno del sistema biologico, con il rischio di perdere informazioni che non sono piú recuperabili.

4. Conclusioni

1. L'attuale fase storica, definita 'età postmoderna', è caratterizzata da rapidi e multiformi cambiamenti che evidenziano una comunità di uomini sempre piú multietica, multiculturale e multietnica.

2. Si va affermando una 'realtà complessa, per cui la parola 'complessità' è diventata un sostantivo 'magico'; 'complessità' che è identificabile con un vero e proprio 'sistema complesso'.

3. Si fa strada la consapevolezza che la sola forza della ragione vacilli nei confronti dell'insieme della compagine di problemi culturali, politici, educativi ed etici.

4. Un problema 'principe' dell'inizio di questo nuovo millennio è la necessità di ricostituire una certa 'enciclopedia' dei saperi per poter fornire risposte concrete, serie e disinteressate alla 'complessità'.

5. E' sempre piú pressante far emergere al massimo quella mirabile capacità dell'uomo che è la sua 'autocoscienza personale' al fine di conoscere 'se stesso' nella 'sua unicità'.

6. L'etica della 'complessità', come le altre etiche, ha bisogno di un substrato identificabile con la metafisica.

7. Tra i canoni etici è ipotizzabile un 'federalismo biologico' in grado di 'riconferire' importanza e dignità alla 'biodiversità antica autoctona'; questo 'federalismo biologico' configura un 'nuovo soggetto' nella sfera del diritto.

8. Non è piú accettabile che l'uomo è misura di tutte le cose; pertanto, l'alterità deve armonicamente coniugarsi con l'unicità dell'uomo, che rimane il soggetto morale unico in grado di effettuare scelte consone a 'un'amministrazione illuminata' dell'ambiente; uomo che non può essere relegato alla funzione di mero 'cittadino biotico'.

9. La biodiversità deve essere considerata alla stregua di un vero e proprio 'bene culturale', essendo essa un patrimonio  di inestimabile valore  di documentazione sia storica che biologica, quindi è portatrice di civiltà antiche ed è componente insostituibile di vecchi equilibri biologici, la cui funzione e il cui ruolo sono ancora tutti da scoprire.

10. La diversità biologica deve essere considerata una vera e propria, se non unica, ricchezza reale, in quanto essa è la espressione di una diversità di informazione genetica; essa è contemporaneamente l'anello di congiunzione fra il passato e la base del divenire biologico; solo un ampio spettro genico è garanzia del divenire della vita degli esseri viventi.

11. Viviamo in una società il cui programma principe è la soddisfazione di tutti i desideri con una corsa frenetica verso la saturazione che può significare pienezza anche del pensiero. Lo strumento principe per ridurre, se non evitare, questa pienezza del pensiero è la palestra di formazione e sviluppo delle idee: la scuola di ogni ordine e grado. Solo in essa è possibile far sviluppare le forme nobili della inquietudine del pensiero di cui era pervaso Sant'Agostino (inquietum cor nostrum).

Concludo con questa frase dello scrittore francese J. Green:

'Finché si è inquieti, si può stare tranquilli'.

 

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